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Difference between revisions of "Paride del Pozzo"

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| '''Capitulo [20] dela prova qual se fa per la bactaglia da persona ad persona.'''
 
| '''Capitulo [20] dela prova qual se fa per la bactaglia da persona ad persona.'''
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| '''Cap. 244. Della prova quale si fa per la battaglia da persona a persona.'''
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L’ordine delle battaglie particolare da persona a persona, dovete sapere & intendere che furno trovate & indutte dal giudicio militare, che con arme si dovesse provare la dubbiosa differenza, quando per altra prova non si potesse nelli civili giudici trovare, nè per altra manifesta congettura si potesse il delitto presumere. Onde essendo uno accusato de homicidio & volendo allegare haverlo per sua defensione commesso, allhora si potria pigliare la querella del combattere personale di provare, lo accusatore & lo accusato, contra, difensarse in giudicio di cavallaria: in tal caso volendo lo colpato fare prova havere fatto per sua difensione lo homicidio, debbe provocare lo accusatore nella battaglia. Ma posto che ‘l Principe comandasse si dovesse procedere alla punitione del homicidio, non può più allegare lo accusato volerlo provare in battaglia haverlo morto in sua defensione, reservando quando li apparesse accusatore; la ragione è questa, che non debbe combattere con lo Principe per la disconvenientia della conditione, nè con lo iudice inquirente per la dignità dello officio; et la prova che in battaglia si vuol mostrare, si vuol causare di causatione incerta e quando lo accusato per forza di armi confessasse il delitto, si deve punire più leggermente che quando per testimonij li fusse provato, chè la prova del combattere fa il perditore essere vinto, ma però è incerta presontione che veramente habbi peccato; & remanendo lo accusato della battaglia vincitore, si debbe per sententia absolvere dalla castigatione della pena et li dovesse donare l’honore de la vittoria con grandissimo favore, perchè presume esser innocente del peccato; et quantunque la prova che si fa, cioè il combattere, sia reprovata per divina prohibitione per esser cosa diabolica, investigatione ritrovata, nientedimeno li armigeri dicono che in battaglia, di continuo, Dio per divino miracolo sempre la verità corona di vittoria, affermando chi con iustitia combatte mai potria esser perditore; però cosa incerta è, conciossiacosacchè spesse volte vedemo che molti contra di giustitia combatteno et, per ritrovarsi più gagliardi di quello che con ragione ha pigliato l’impresa, restano vincitori; & questo interviene per la disparità che è nelle forze delli armigeri & tal ragione fu del Papa & di Federico Imperatore, parlando delle battaglie che si fanno per esperimentare la verità & della falsa oppositione conoscere il vero.
  
 
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| '''Capitulo [25] quando lo provocatore insultasse lo requesto nante che venesse al deputato loco.'''
 
| '''Capitulo [25] quando lo provocatore insultasse lo requesto nante che venesse al deputato loco.'''
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| '''Cap. 245. Quando lo provocatore insultasse lo richiesto innanzi che venisse al deputato luoco.'''
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Si dimanda al giudice deputato, trovandosi dui disfidati per differentia a combattere in cammino per andare al loco determinato del combattere e l’uno contra de l’altro insultasse, inanzi che allo assecurato campo pervenesseno, vincendo lo insultatore, se lo assalito fusse iustamente superato e se lo insultatore debbe essere traditore reputato, per haver insultato lo inimico contra la conventione. Si responde che quantunque siano i nimici disfidati di volere in tal campo, con tal giudice & in tale giornata combattere, non fu però licito offenderlo prima che al deputato loco pervenissero, attento ch’essendo lo insultato adoperato fuori del campo senza l’ordine che alla battaglia si ricercasse, iudica esser specie di tradimento; e per ragione di Civile legge di cavalleria non si può insultare senza disfida, quale havesse ad avisare il nimico che non se dovesse trovare sprovisto nel combattere, tanto più quanto che haveano trovato loco, iudice e l’ordine di combattere con la sicurtà di campo; benchè habbia superato, contra la conventione non è però vincitore, anzi ha commesso il tradimento e vuole la legge Civile e la Imperiale comanda che l’offensore sia tenuto de li danni de lo offeso emendare per haverlo traditamente superato, che per lo traditore lo potria ritornare a combattere, & merita dal suo superiore essere aspramente & atrocemente punito, come a mancatore de la sua promessa fede & da perfido traditore, secondo lo stilo d’arme & consuetudine & di cavallaria se reputa; et questa è la sententia verissima, per volere una tal questione decidere.
  
 
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| '''Capitulo [26]. sel requesto non trovasse principe qual volesse dare loco securo ala bactaglia se tenuto sarra andare ad principi de infideli.'''
 
| '''Capitulo [26]. sel requesto non trovasse principe qual volesse dare loco securo ala bactaglia se tenuto sarra andare ad principi de infideli.'''
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| '''Cap. 246. Se ‘l richiesto non trovasse Principe, quale volesse dare luoco sicuro al combattere, se tenuto sarà d’andare a gli Principi d’infideli.'''
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Quando fosse un cavalliero o qualsivoglia altro armigero a combatter personale, provocato con requisitione, che dovesse luoco sicuro & giudice competente trovare, sì come per stile & consuetudine tal combattere si ricerca, cercando per tutta la Christiana religione e non trovando il Principe da cui potesse il campo ottenere, essendo richiesto dal suo provocante che dovesse tra la Barbara et infidele natione ricercare, non saria tenuto tra la Barbara & infidele natione per tal causa ricercare, ancor che ‘l provocante lo richiedesse. La ragione è questa, che niun Christiano si deve submettere in giudicio d’infidele, benchè molti Cavallieri Christiani siano andati ne’ paesi d’infideli per combattere; nondimeno, per ragione di legge scritta, non è concessa, attento che comanda a tutti i sudditi Christiani che non vadino in terra d’infideli senza licentia del superiore, nè condurvi cose da nostra fede prohibite, perchè gli Re infideli sono nimici della Christianità & per tanto gli infami di nostra fede riprovare non possono, arbitrare, nè giudicare criminali differentie causate tra li Christiani; attento che niun Christiano può dare facultà a niuno infidele de Christiani fare giudicio & colui ch’andasse per tali cose da’ Barbari infideli, essendo per Christiano perduto, prima ch’egli arrivasse, per schiavo perpetuo in poter di colui ch’el pigliasse per ragione restaria, qual potria vendere per captivo; & più che la nostra fede prohibisce che per niun tempo lo debba in niun modo liberare, benchè a’ servi si costuma dare libertà a volontà de’ patroni; & per questo è da sapere che ‘l richiesto può la ingiusta dimanda dal suo requisitore ricusare, in caso che ‘l provocatore in cospetto di Re infidele il suo provocato per contumace bandeggiasse, non però la sententia: anzi per quella potria il requisitore, nella sua tornata, dello ecclesiastico giudice & secolare, aspramente esser punito et oltra di ciò si deve cancellare ogni atto scritto in contumace del Christiano Cavalliero che contra l’honore suo per giudice infidele fosse adoperato, ricusando il giudicio di gente Barbara, che con la falsa opinione di Macometto si governano, benchè sia licito, in caso di necessità al Christiano, ausilio di infideli, invocare la Batbara natione, per non essere in la legge prohibito; non s’intende perciocchè dui Cavallieri debbano cercare giudicio da infideli per ragione soprascritta.
  
 
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| '''Capitulo [30] nel quale se tracta se per lo prelato se porra prohibere la bactaglia particulare essendo per lo prencipe seculare permessa.'''
 
| '''Capitulo [30] nel quale se tracta se per lo prelato se porra prohibere la bactaglia particulare essendo per lo prencipe seculare permessa.'''
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| '''Cap. 247. Se per il prelato si potrà prohibire il combattere particolare, essendo per il Principe secolare permessa.'''
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Si dubita ancora, havendo un Principe mondano concesso a dui Cavallieri o armigeri licenza di combattere in particolar battaglia, se ‘l prelato della città potrà quella prohibire, chè non seguisca: si dimanda perchè si risponde di sì: per ragione che il Decretale ha provisto per vietare il peccato havere provata la consuetudine del combattere per differenza, et per questo la Chiesa giudica li casi dove può seguire homicidio et perditione delle anime, dispone che ‘l prelato possi vedare le battaglie volontarie, ancora che ‘l Principe secolare havesse dato il campo sicuro, permettendo il combattere; in tal caso doveria esser più ubbidito il prelato che ‘l Principe, considerando ch’è caso di conscienza et dal Papa espressamente riprovato, in modo che ‘l Principe mortalmente peccaria, volendo lui disponere in ciò che è per lui submesso alla Chiesa, che non è al stato secolare.
  
 
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| '''Capitulo [31] nel quale se tracta como se deve per ragione elegere et denegare lo iudice conpetente nela bactaglia particulare.'''
 
| '''Capitulo [31] nel quale se tracta como se deve per ragione elegere et denegare lo iudice conpetente nela bactaglia particulare.'''
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| '''Cap. 248. Come si debbe per ragione eleggere & denegare lo iudice competente nel combattere particolare.'''
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Soleno molti Cavallieri di continuo domandare qual fusse iudice competente fra dui armigeri che havesseno differentia di combattere cercandolo, a li quali se responde secondo la legge scritta: quando fusseno subditi di uno medesimo principe, quello saria iudice competente, essendo il caso per iuste cagione dovesseno combattere, sì come di sopra habiamo referito, perchè se presume che con eguale affetione, senza passione d’animo nel iudicare de qual iusta sententia & perchè la battaglia si fa per esperimento & prova de la verità, de la quale essendo il iudice fra dui sudditi niuna partialità commettaria nel iudicare; ma in caso ch’el Principe loro iudice recusasse o che il Principe intercedesse in lo combattere per qualche iusta cagione, overo che fusseno sudditi di dui altri signori, allhora si doveria per le parte cercare per iudice principe che a nessuno fusse sospetto, però la sospitione vole essere iusta; & quando fusseno li Cavallieri disfidati a la battaglia, che in l’esercito di arme si ritrovasseno militando sotto uno Capitano o conduttiero de esercito, allhora quello saria giudice competente, cioè lo loro Capitano; et quando seguisseno dui eserciti saria giudice competente uno delli capitani, overo altro Principe libero, il quale loro iudicio accettasse et che fusse perito per longa esperientia delli fatti della militia in tali casi et che la sua corte fusse guarnita de copia de Cavallieri armigeri et nobili huomini esperimentati nelle arme, per rispetto che quando fusse Principe che non havesse esperimentata la militia et in le arme mal pratico, non serà idoneo giudice, essendo più in esercitio di altre faccende adoperatosi, quale non convenesseno a Principi militari, come son mercantie, musiche, caccie, balli et altre lascive delitie cortesane, di modo che mai havesse le arme esercitato: saria giudice insufficiente, volendo nelli casi de l’arme giudicare, quando in quelle non fusse conversato, nè ben perito, ancora che fusse in altre cose prudentissimo, per non havere la esperientia, nè peritia nelli casi dubij che accadesseno nel combattere, non potria iustamente iudicare; et posto che dui Re o dui Imperatori volesseno combattere de cosa che alla Ecclesia pertenesse, alhora lo Imperatore, overo lo Papa, seria iudice competente, sì come di sopra è detto de Re Carlo & de Re Pieri & ancora de uno altro Re, li quali volendo pugnare andorno a Bordella, che era de Re de Anglia, el quale, sì come la cronica de Gio. Villano fiorentino referisse, mandorno da quelli el suo frondico per iudice competente & che dovesse tutti li accidenti de la loro battaglia iustamente iudicare.
  
 
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| '''Capitulo [32] qual principe per raione ha autortitate co{{dec|u|n}}cedere de farsi la bactaglia fra cavalieri.'''
 
| '''Capitulo [32] qual principe per raione ha autortitate co{{dec|u|n}}cedere de farsi la bactaglia fra cavalieri.'''
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| '''Cap. 249. Qual principe per ragione ha autorità concedere el combattere da persona a persona.'''
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Si debbe ancora sapere & intendere qual Principe haverà potestate concedere la licentia alli armigeri che per differentie loro havesseno deliberato combattere; perchè si debbe notare che solo Imperatore, Re, Duca libero, communità non submessa o altro Principe senza superiore, c’havesse potestà assoluta in suo dominio, potrà il campo sicuro concedere, il quale li Baroni sudditi, quantunque havessino titolo di Principato, over di Ducato non potranno giustamente concedere tal licentia, nè ancora un Commissario Regale, benchè fosse generale dal Principe libero delegato, non potrà giustamente permettere la battaglia, salvo fosse gran Contestabile capitano di guerra o conduttieri d’esercito d’Imperatore, Re o altro Principe libero, potria della battaglia particolare tra quelli ch’esercitano la militia sotto il suo stendardo, ancora che fossino forestieri & armigeri & strani; ritrovandosi nel campo suo, non perciò lontano allo tenitorio dove il suo esercito dimorasse, posto che fosse in provincia non suddita al suo Imperatore, over Principe, potrà per l’absentia del suo Signore a dui armigeri o Cavallieri cercando il campo, liberamente concedere; nè ‘l Capitano o Duca di arme, in presentia del suo Principe, haveria tal potestà, di onde non apparesse espresso consentimento del suo Signore da poter concedere il campo; & posto che lo concedesse, sarebbe uno modo di riferire la volontà del suo Signore & per sua potestà, la quale non haveria quando ancora non gli comparesse il primogenito figliuolo del suo Signore, o altro figliuolo che fosse Vicario generale: haveria potestà più che il conduttiero, over Capitano dell’esercito, nel concedere la licenza del combattere; però si deve intendere che ‘l Capitano, overo il Conduttiero, dello esercito tiene il secondo loco della potestà de’ loro Principi, perchè posson con sicurtà concedere la potestà del combattere a gli eserciti per loro volontà & oltre a questo eleggere giudici & altri officiali sopra la administratione dello esercito, quale guidano; & per questo nel luoco dove si trovano essere accampati possono concedere licentia, così il conduttiero, come uno Signore, che fusse considerato in compagnia & in lega col suo Signore nel tenitorio che fosse del Signore considerato, potrà la licentia, & ancora altra sicurtà concedere l’uno in tenitorio dell’altro, attento che la giurisditione del dominio tra li Principi confederati è commune, che l’uno nella signoria dell’atro può per sua volontà disponere, sì come vuole la legge, quale de ciò fa espressa mentione.
  
 
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| '''Capitulo [33] del iuramento de quille che vorano intrare ad conbactere in bactaglie particolare de oltranza.'''
 
| '''Capitulo [33] del iuramento de quille che vorano intrare ad conbactere in bactaglie particolare de oltranza.'''
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| '''Cap. 250. Del giuramento di quelli che vorranno intrare a combattere in battaglia particolare di oltranza.'''
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Non si debbe lasciare in dimentico, anzi è necessario facendo espressa mentione, del giuramento che debbano fare quelli che ad oltranza hanno deliberato combattere: perchè è da sapere che secondo la legge Longobarda, fatta per gli Imperatori che in Italia quella indussero, vuole ch’el provocatore, over requisitore, doverà giurare & non il provocato; & quando uno accusasse per sospettione dove per necessità fosse costretto nel giuramento, non lo potrà giustamente fare, eccetto se dicesse per sospetto havesse deliberato combattere; & in caso che per giuramento affermasse che per verità & non sospettione combattesse, debbe di verità giurare, come per la constitutione fatta per Federico Imperatore; si dinota che debbano per giustitia tutte le parti del caso suo giurare, cioè diffender ciascuna querella di verità, senza alcuna malitia, credendo esser vero ciò, per il quale dicendo, a combattere si conducano; et così ancora debbano li campioni giurare di diffender la parte per la loro, quale senza calunnia credono combattere & che li lor principali diffendono iusta querella; & oltra questo debbano li campioni giurare di combattere con tutte le lor forze, sì come appresso vederemo nel libro dove si tratta de’ campioni; & benchè alcuni havessino ditto che ‘l perditore, fatto il giuramento, fosse in pena di tradimento, ritrovandosi perditore nella battaglia, questo non potria per giustitia, nè per ragione procedere, attento che tutte le scritture dicono il giudicio della battaglia non esser vero, ma falso & è dicisione di Federico Imperatore che quantunque armigero per forza si disdicesse, non resteria però traditore, riservando se fosse accusato de crimine lege maiestatis, perdendo in battaglia saria traditore, o se combattessino per altro tradimento, saria lo superato & vinto per traditore riputato, non però in altro caso, eccetto se per capitoli fosse espresso che ‘l perditore dovesse per traditore rimanere, sì come fecero quelli che in Padoa con tali Capitoli combatterno, che ‘l perditore restasse traditore.
  
 
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| '''Capitulo [34] quando fosse facto per lo iodice bannime{{dec|u|n}}to che quillo del conbactenti che trapassasse el segno fosse perditore.'''
 
| '''Capitulo [34] quando fosse facto per lo iodice bannime{{dec|u|n}}to che quillo del conbactenti che trapassasse el segno fosse perditore.'''
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| '''Cap. 251. Quando fusse fatto per lo giudice bandimento che quello de’ combattenti che trapassasse il segno fusse perditore.'''
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Essendo ordinata una battaglia nella quale il giudice facesse prohibimento per Decreto che niuno delli combattenti dovesse il segno del campo trapassare, essendo il termine per aratro designato, overo che di ligname fusse composto, non solamente con tutta la persona, ma ancora di niuno membro & quello il quale presumesse uscire con tutto il corpo integro, overo di alcun membro, fusse di quello privato & oltra questo dovesse essere perditore de la battaglia; il che successe nel combattere che li pugnatori nel segno si accostorno e fu per forza dell’impeto del combattere & cascarono insieme a terra, uno con il capo di fuora del segno & l’altro con tutta la persona di fuora che la testa: si dubita qual sia il perditore, perchè pare a molti dovesse essere quello il quale cascò con il capo di fuora, perchè è il principale membro che sia de l’huomo, però oltra disse che quello il quale fu fuori con tutti li membri dovea esser perditore, per haver fuori la maggior parte del corpo; alcuni volseno dire che doveria esser patta per rispetto che ‘l capo importa quanto tutto il busto; perchè l’ultima sententia a molti parve la più vera, però per autorità di legge pare che quello che fu di fuori con più membri dovea essere il perditore, per ragione che la testa saria niente senza lo ornamento de gli altri universal membri; nientedimeno fu donata la sententia data nel presente caso, che stando la ditta ordinatione i duoi combattenti, l’uno prese e ferì l’altro gravissimamente et oltra a questo, pigliandolo per il collo per batterlo per forza di fuora dal segno, nel quale approssimandosi cascò in terra, in modo che ‘l percussore, per il suo cascare, fuora dal segno se ritrovò et trovandose il perso dentro fu per vincitore reputato, per rispetto che per tempestatione fe’ il suo superatore fuora del segno cascare, perilchè ne venne a perdere il campo: qual sententia per ingiusta & iniqua se condanna, perchè osta per caso fortuito fuora dal segno l’acquistata vittoria, non per incontro, nè per virtù del nimico, nè per disobedienza deve essere perditore condannato, per rispetto che non si deve nelle estremitati attendere, quantunque si dovesse nelli estremi ponti considerare quanto per botta o per forza del suo nimico fusse fuora dal campo cacciato, chè si mostraria per violenza di quello haver perso il campo o che per paura o per non voler ubbidire andasse di fuora, stando l’altro fermo dentro del campo, saria lui fuori uscito perditore: però in tal caso non debbe essere perditore per la ragione sopradetta, che fu per infortunio & non per gagliardia del nimico, considerando che l’haveva preso & ferito & postoselo su le spalle con la sua propria fortezza & strenuità in battaglia: di virtù & honore o di oltranza giustamente dovea vincitore rimanere.
  
 
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| '''Capitulo [43] Quando dui cavalieri fossero diffidati ad certa iornata si un deloro nante la deputata iornata conbactesse ad tucta oltranza con uno altro & fosse da quillo vinto & desdecto se porra essere pero rebrozato nel di dela bactaglia deputara.'''
 
| '''Capitulo [43] Quando dui cavalieri fossero diffidati ad certa iornata si un deloro nante la deputata iornata conbactesse ad tucta oltranza con uno altro & fosse da quillo vinto & desdecto se porra essere pero rebrozato nel di dela bactaglia deputara.'''
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| '''Cap. 255. Quando dui armigeri si fusseno disfidati a una certa giornata, se uno di loro innanzi la deputata giornata combattesse a tutta oltranza con uno altro & fusse da quello vinto & disdetto, se potrà essere refudato nel dì de la battaglia deputata.'''
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Si domanda ancora da uno, de dui che hanno per differentia loro equalmente da combattere a tal giornata con patto e conventione fra loro fermati & prima che in quella siano pervenuti è ‘l requisitore da un altro armigero in simile battaglia superato & vinto & disdetto, perchè haveria da esser giustamente d’ogni armigero e cavalliere rifiutato come infame, periuro, calunnioso, overo che commettesse alcuno delitto o tradimento per il qual levasse fama de mal armigero, de non essere admesso nel combattere con un altro honesto & virtuoso Cavaliero o armigero; se responde che havendo mutata la sua conditione de bona in mala fama, può esser dal suo nimico recusato nel combattere con lui, per esser stato di mala conditione, chè se al presente volesse un altro richiedere ad equalità de battaglia non potria, per la indispositione trista & falsa, nel quale è cascato per mancamento de delitto, commesso dopo la conventione fatta del combattere in tal giornata: se intende, se lo requisitore durante il termine del tempo non cada in infamia di tristitia, ma che se conservi nel stato nel qual si ritrovava quando accettò la disfida e fece la conventione. Onde finalmente se determina che giustamente se potrà ricusare un armigero nella giornata della battaglia, quando dapoi la disfida, accettato per segno de combattere, serà peggiorato de sua conditione & fama & potrà esser dal richiesto rifiutato, sì come di sopra è ditto; & simile diffinitione si fa dal requisitore quando el richiesto fusse di suo buon stato, dapoi la scomessa mutato in malo, chè non saria tenuto con lui combattere per la nuova vergogna acquistata.
  
 
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| '''{{par}} Sequita lo quarto libro nel quale se racta deli campiuni quali se danno nela bactaglia per cavalieri che de raione po{{dec|u|n}}no dare capiuni.'''
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| '''{{par}} [47] Sequita lo quarto libro nel quale se racta deli campiuni quali se danno nela bactaglia per cavalieri che de raione po{{dec|u|n}}no dare capiuni.'''
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| '''Cap. 260. Delli Campioni quali si danno nella battaglia per Cavalieri, che di ragione posson dare Campioni.'''
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Discrivesi generalmente quando si vuol combattere differentia alcuna, o per altra giusta cagione da persona a persona, a ciascheduno è necessario diffendere la vita sua con il ferro, seguitando la dottrina del poeta Sallustio, quale in Catilinario, persona di Catilina Romano, giovane gagliardo, parlando alli suoi commilitoni, diceva: «fratelli miei carissimi, la spada è solo la vita nostra et per quella bisogna esser aperta la strada, perciò siate gagliardi»; et per questo ogni requisitore, over richiesto debbe combattere con la propria persona, riservando quando la dignità del suo honore non lo ricercasse; essendo la richiesta di huomo di minor conditione del provocato più degno, allhora si potrà dare un campione simile et eguale al stato del requisitore, qual per lui combattesse: et questo si trova secondo la legge Lombarda & la ragione Civile & per la constitutione di Federico Imperatore, che ricerca egualità nella battaglia; però vuole lo inferiore di conditione non debbe nel combattere provocare il suo superiore, riservando quando combattere volesse il vassallo con il suo Signore haver commessa contra del suo honore: in tal caso non potria il suo Signore dare il Campione, ma debbe personalmente con il vassallo combattere, ma con la propria persona & nelli sette casi è permesso dare il Campione, sì come appresso vederemo.
  
 
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| '''{{par}} Capitulo [48] dove se tracta deli campiuni che fossero vincioti o chi conbactessero con fraude.'''
 
| '''{{par}} Capitulo [48] dove se tracta deli campiuni che fossero vincioti o chi conbactessero con fraude.'''
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| '''Cap. 261. Delli Campioni che perdessero in battaglia o che combattessero con fraude.'''
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Quando uno Conte, Duca, Principe o quale si voglia altro Signore che desse uno Campione, in caso che fosse in battaglia superato, si può dire lui esser superato dal vincitore del suo Campione, riservandosi fraudolentemente il Campione se havesse fatto superare & vincere per fraudare l’honore del suo Signore: non havendo fatto il debito nel combattere sarà punito il Campione; ma se ‘l Campione senza fraude si ricredesse, overo confessasse il delitto, in questo l’Imperatore fe’ Constitutione che saria vinto & confesso il suo Signore che lo desse; & secondo la Lombarda non si può dar Campione, eccetto in caso di impedimento et quando sarà promessa la battaglia, el dare del Campione, et per privilegio della dignità, & quando il provocatore fosse inferiore del richiesto; et perchè dice che ‘l Campione debbe essere eguale dell’armigero o Cavalliero & da chi è dato per combattere, chè altramente si potrà per giustitia ricusare, & vederemo appresso.
  
 
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| '''{{par}} Capitulo [49] che contene septe casi in li quali e licito dare campione in bactaglia de oltranza.'''
 
| '''{{par}} Capitulo [49] che contene septe casi in li quali e licito dare campione in bactaglia de oltranza.'''
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| '''Cap. 256. De sette casi, nelli quali è licito dare campione nello combattere.'''
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Il combattere che se fa per oltranza per differentia si deve far per li principali disfidati, riservando in sette casi, nelli quali è permesso dare Campione: el primo caso è quando lo requisitore o richiesto non fusse pervenuto in età de dieciotto anni; secondo la Lombarda e la constitutione debbe esser de etate meno che di venticinque anni, & così ancora el Campione debbe esser maggiore de quella etade. El secondo caso quando uno di loro fusse de età decrepita, overo inferma. El terzo quando el servo prendesse libertade contra el suo patrone, dicendo esser libero & volere di ciò combattere: el suo Signore li potia dare egual Campione. El quarto è quando fusse persona ecclesiastica, overo donna vedova, o quando fusse uno Conte provocato o provocante con uno da meno che de sua conditione; l’altro è quando una donna fusse accusata de adulterio & volesse difendere per arme esser falsamente accusata, nel qual caso debbe dare il suo marito, overo el mundualdo per Campione; & secondo la Constitutione ogni impedito da impedimento personale potrà dare el Campione, ancora che havesse degnità o nobilità: essendo da un rustico provocato potrà dare el Campione, sì come è ditto di sopra, secondo la Constitutione e legge Longobarda, per la quale è indutto che un servo accusato di furto potrà dare il patrone per Campione, però si debbe observare secondo la consuetudine de la provincia, over Città ne la quale accaderanno li casi di darsi o non darsi li Campioni, secondo l’arbitrio del iudice; ma secondo la decretale, li clerici non ponno nè personalmente nè per Campione combattere, benchè fusse loro permesso per antiqua consuetudine, quale è stata tolta per lo Decreto.
  
 
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| '''{{par}} Capitulo [50] dove se tracta deli campiuni che fossero vincioti o chi conbactessero con fraude.'''
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| '''{{par}} Capitulo [50] nel quale se tracta si como li capiuni de veno essere simili.'''
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| '''Cap. 257. Come li Campioni debbeno essere simili.'''
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E’ da sapere ancora che quando la battaglia personale si fa per Campioni, si debbeno elegger per lo iudice eguali di fortezza, perchè se solo trovasse uno fortissimo armigero per suo Campione, tale che nella sua provincia non si trovasse simile a quello di forza, alhora si doveriano distribuire li Campioni di una egualità, secondo la Constitutione predetta & la legge Longobarda; però questo non si osserva di consuetudine, ma si debbe notare che li Campioni debbono esser di età maggiore di venticinque anni.
  
 
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| '''{{par}} Capitulo [51] nel quale se tracta si como li capiuni de veno essere simili.'''
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| '''{{par}} Capitulo [51] nel quale se tracta come persone infame non se ponno dare per campione.'''
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| '''Cap. 258. Come persone infami non si posson dare per Campioni.
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Ancora è da notare che li Campioni non debbano esser persone infami, perchè son simili alli dottori giuristi che sono advocati nelle cause Civili che diffendeno: in caso che uno fosse ladro manifesto non potria esser Campione, nè huomini di mala conditione, i quali verisimilmente sempre in battaglia sariano perditori, più per cagione de’ lor delitti che per difetto di mala querela del Signore, ad istanza del quale combattessero. Ancora, quello c’havesse commesso delitto, per il quale non potesse nella presenza del suo Principe comparere, non potria esser Campione; ancora huomini che per danari havessero commesso homicidio, come sono assassini, ruffiani publici & altra simile generatione di vilissimi beccarini, nè uno apostata, cioè religioso fuggito dal suo monasterio; & questo si trova secondo la Lombarda & Civile & secondo Andrea di Isernia, eccetto se pugnassero con persone infame simile di loro, perchè allhora da nessuno si potria il combatter rifiutare.
  
 
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| '''{{par}} Capitulo [52] nel quale se tracta come persone infame non se ponno dare per campione.'''
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| '''Capitulo [52] nel quale se tracta si como li campiuni de veno iurare nel intrare dela liza secundo la loro credenza conbactere con iusticia & de fare el devere.'''
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| '''Cap. 262. Come li Campioni debbon giurare nell’intrare della lizza, secondo la lor credenza, combatter con giustitia & di fare il dovere.'''
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Ciascheduno armigero Cavalliero debbe sapere come debbono li Campioni, nell’intrare della lizza, giurare che, secondo la loro credenza, li patroni della querella, per li quali deliberassero combattere ad una giusta occasione et di non accusare l’un l’altro per fraude, nè per malitia, et che con ogni virtù, possanza, diffenderanno ciascaduno l’honore del suo Signore; giurano ancora li Campioni non habbino intelligenza fra lor dell’uno non offendere l’altro & di far tutto il dovere con tutta la lor virilità, si sforzeranno menar le mani per esser l’uno dell’altro vincitore, senza fraude di fingimento alcuno; & questo descrive l’Imperatore Federico, il qual ancora M. Baldo da Perugia riferisce.
  
 
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| '''Capitulo [53] nel quale se tracta si como li campiuni de veno iurare nel intrare dela liza secundo la loro credenza conbactere con iusticia & de fare el devere.'''
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| '''{{par}} Capitulo [53] nel quale se tracta che essendo una volta habactuto un campione non porra piu per altri conbactere excepto per se.'''
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| '''Cap. 253. Che essendo una volta abbattuto uno Campione non potrà più per altro combattere, eccetto che per lui.'''
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Descrive ancora l’Imperatore Federico che uno Campione, essendo una volta superato in battaglia, non potrà più per altro essere Campione, eccetto se per lui deliberasse combattere, perchè Seneca dice “poichè la virtù di un huomo è abbattuta per una volta, non è più securtà in quello”; et vuole Federico Imperatore che uno Campione che si portasse fraudolentemente nella battaglia per non combattere con tutte le sue fortezze, debbe essere punito di quella pena che meritasse quello per il quale havesse combattuto, overo li doveria essere tagliata la mano per sua punitione.
  
 
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| '''{{par}} Capitulo [54] nel quale se tracta che essendo una volta habactuto un campione non porra piu per altri conbactere excepto per se.'''
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| '''{{par}} Capitulo [54] nel quale se tracta si come al rustico requidetore se po dare semele campione.'''
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| '''Cap. 254. Sì come è il rustico requisitore, se può dare simile Campione.'''
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Vuole ancora la legge fatta per Federico Imperatore che l’armigero Cavalliero, ricercato a combattere per differentia da uno come rustico, il possa rifiutare et quello, il quale vorrà richiedere alla battaglia personale un nobile Cavalliero debbe esser simile del richiesto in conditione; & però in questo caso si debbi dare il Campione simile del rustico requisitore & quando il nobile richiedesse il rustico, debbe con la sua persona combattere, però in caso che fusse il requisitore nobile impedito, può dare il Campione simile al richiesto; per la consuetudine di tale battaglia, ricerca che le persone siano uguale di conditione, eccetto in delitto di infideltà, nel quale il rustico può richiedere il suo Signore a combattere da persona a persona, sì come meglio appresso vederemo; & Andrea d’Isernia & M. Baldo dicono che habitando un nobile di continuo in villa non sarà per questo rustico, per rispetto che il luogo rusticano non può togliere la nobiltà a chi naturalmente la possiede, sì come vederemo.
  
 
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| '''{{par}} Capitulo [55] nel quale se tracta si come al rustico requidetore se po dare semele campione.'''
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| '''Capitulo [55] nel quale se tracta si como non e licito corrompere el campione.'''
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| '''Cap. 263. Come non è licito corrompere il Campione.'''
 
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Nella constitutione di Federico si descrive che se ‘l Campione fosse dal nimico corrotto per farsi vincere, benchè sia licito nella battaglia di tutta oltranza con ogni fraude superare l’avversario, non seria però in tal caso vincitore, perchè non merita vittoria secondo la legge civile chi vince con corrottione di premio alcuno, perchè tal battaglia fu inventa & trovata per giudicar la verità in forza d’arme, chè il contrario suo è il corrompere per dinari, sì come colui che vince la sentenza corrompendo il giudice & li testimoni, non è legittimo vincitore; quantunque in battaglia di tutta oltranza sia lecito usare ogni astuzia & fraude per vincere, non però è permesso di usare falsità di corompere il campione, chè non faccia il dovere in giudicio di battaglia, perciocchè la vittoria che se ottenesse saria turpissima, perchè gli antichi Imperatori li virtuosi pugnatori coronavano et dinegavano a quelli che procurano la vittoria, coronando gli avversarij, per conseguire l’honore del trionfo, benchè sia licito più, come più volte è ditto di sopra, in battaglia di tutta oltranza per togliere la potenza del nimico usare ogni fraude, per salvatione della vita: se intende con propria astutia di virtù di battaglia, con la estremità della sua persona, che quelli che con fraude et inganni senza gagliardia et valorsità restano vincitori, benchè superasseno potenti cavallieri; sicchè quello che corrompe il campione non merita l’honore della battaglia & non può dire esser stato vincitore con arme, nè con spada, ma solo per corrottione, la quale è molto da’ valorosi Cavallieri condannata, perchè è specie di gravissimi tradimenti; & da doversi la vittoria dinegare, dove si debbe per virtù d’arme acquistare e superare il nemico per trovare la verità, onde uno filosofo dice che dove intraviene corrottione di danari o altro non può esser cosa laudabile, nè virtuosa; in questo giudicio d’arme, dove non è permesso corrottione alcuna si debbe vincere con la spada & con la propria virtù dell’animo, et per questo non si darà lo honore a quello che vince corrompendo il campione, perciocchè la corrottione è simile del delitto, che merita gravissima pena & per questo non si dà premio nè honore a colui che con mente giusta merita esser punito.
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| '''Capitulo [56] nel quale se tracta si como non e licito corrompere el campione.'''
 
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| '''{{par}} Capitulo [57] nel quale se tracta sel cavaliero vassallo e tenuto essere campione del suo segnore.'''
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| '''{{par}} Capitulo [56] nel quale se tracta sel cavaliero vassallo e tenuto essere campione del suo segnore.'''
 
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| '''Capitulo [58] de dui intrate nel campo per conbactere ad oltranza con spate luno dismontato a piede et tenendo lo nemico che accavallo stava perlo piede quillo da cavallo de bocto sopre laltro et vencelo.'''
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| '''Capitulo [57] de dui intrate nel campo per conbactere ad oltranza con spate luno dismontato a piede et tenendo lo nemico che accavallo stava perlo piede quillo da cavallo de bocto sopre laltro et vencelo.'''
 
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| '''Capitulo [59] de dui conbactenti el uno abia{{dec|u|n}}do gravamente ferito laltro lo percussore se smortio per vedere il sangue del ferito quale lo piglio et ligolo et de po si morio.'''
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| '''Capitulo [58] de dui conbactenti el uno abia{{dec|u|n}}do gravamente ferito laltro lo percussore se smortio per vedere il sangue del ferito quale lo piglio et ligolo et de po si morio.'''
 
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| '''Capitulo [60] de dui disfidati ad oltranza et lo requiditore promese deprovare et de po per uno i{{dec|u|n}}contro tucti duitrapassati sel requiditore Sarra perdetore o vero Sarra pacta.'''
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| '''Capitulo [59] de dui disfidati ad oltranza et lo requiditore promese deprovare et de po per uno i{{dec|u|n}}contro tucti duitrapassati sel requiditore Sarra perdetore o vero Sarra pacta.'''
 
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| '''Capitulo [61] de dui conbactenti che luno fo deiecto adterra et pongendo lo suo cavallo lo spense co{{dec|u|n}}tra laltro in modo che risandono li cavalli el cavalcato col cavallo ad terra cascato se morio.'''
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| '''Capitulo [60] de dui conbactenti che luno fo deiecto adterra et pongendo lo suo cavallo lo spense co{{dec|u|n}}tra laltro in modo che risandono li cavalli el cavalcato col cavallo ad terra cascato se morio.'''
 
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| '''Capitulo [62] de dui conbacte{{dec|u|n}}ti che luno preso te{{dec|u|n}}ne longo tempo laltro perlo piede fi ala nocte non fandoli altra offesa deve essere vincetore.'''
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| '''Capitulo [61] de dui conbacte{{dec|u|n}}ti che luno preso te{{dec|u|n}}ne longo tempo laltro perlo piede fi ala nocte non fandoli altra offesa deve essere vincetore.'''
 
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| '''Capitulo [63] de dui conbacttenideli quali luno cascao desastrosamente perli trunchoni dele lanze rocte e non per vertu del nemico.'''
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| '''Capitulo [62] de dui conbacttenideli quali luno cascao desastrosamente perli trunchoni dele lanze rocte e non per vertu del nemico.'''
 
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| '''{{par}} Capitulo [64] nel quale se tracta si come quilli che no{{dec|u|n}} so in eta de conbactere ele donne vidue & un conte requesto da uno che fosse manco dellui porra dare el campione.'''
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| '''{{par}} Capitulo [63] nel quale se tracta si come quilli che no{{dec|u|n}} so in eta de conbactere ele donne vidue & un conte requesto da uno che fosse manco dellui porra dare el campione.'''
 
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| '''{{par}} Capitulo [65] nel quale se tracta si come in caso de homicidio non se po dare el campione excepto sel accusatore non volesse personalmente conbactere.'''
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| '''{{par}} Capitulo [64] nel quale se tracta si come in caso de homicidio non se po dare el campione excepto sel accusatore non volesse personalmente conbactere.'''
 
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| '''Capitulo [66] nel quale se tracta como se po dare el campione secundo la reposta del requesto.'''
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| '''Capitulo [65] nel quale se tracta como se po dare el campione secundo la reposta del requesto.'''
 
| '''Cap. 211. Come si può dare il campione secondo la risposta del richiesto.'''
 
| '''Cap. 211. Come si può dare il campione secondo la risposta del richiesto.'''
 
Dicesi nel trattato de’ campioni che quando lo requisitore s’offerisce nella sua richiesta voler provare da esso al suo avversario una tale querela, perchè darà la fede del combattere per pegno, & dicendo il richiesto “io mi diffenderò per me o per altri per me con gli miei danari”, in tal caso non potrà il requisitore dare più il campione, ma deve con la propria sua persona combattere, per rispetto che la sua offerta è di provare da persona a persona: per questo si deve osservare; ma lo richiesto per sua risposta potria dare il campione & in caso che ‘l provocatore dicesse “io voglio provare dalla persona mia alla tua”, rispondendo il richiesto “io mi diffenderò”, senza dire altre parole, non potria il campione; & questo si trova determinato per la legge Lombarda Imperiale.
 
Dicesi nel trattato de’ campioni che quando lo requisitore s’offerisce nella sua richiesta voler provare da esso al suo avversario una tale querela, perchè darà la fede del combattere per pegno, & dicendo il richiesto “io mi diffenderò per me o per altri per me con gli miei danari”, in tal caso non potrà il requisitore dare più il campione, ma deve con la propria sua persona combattere, per rispetto che la sua offerta è di provare da persona a persona: per questo si deve osservare; ma lo richiesto per sua risposta potria dare il campione & in caso che ‘l provocatore dicesse “io voglio provare dalla persona mia alla tua”, rispondendo il richiesto “io mi diffenderò”, senza dire altre parole, non potria il campione; & questo si trova determinato per la legge Lombarda Imperiale.
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| '''Capitulo [76] dove se tracta se dui cavalieri in dui capise diffidano[!] fora lo exercito sese devevo punire.'''
 
| '''Capitulo [76] dove se tracta se dui cavalieri in dui capise diffidano[!] fora lo exercito sese devevo punire.'''
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| '''Cap. 252. Se dui armigeri o Cavallieri in dui campi se disfidasseno fuori dall’esercito, se si debbono punire.'''
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Sono dui campi di capitani armigeri accampati & uno Cavalliero o altro armigero & che uno sottomette un altro e l’altro viene a le mani, partendosi dalli campi dalli suoi capitani, e combatteno, si dimanda se costoro ponno esser puniti: si dice di sì et la ragione è questa, che loro mancano all’honore loro, essendo obbligati al servitio dello esercito con loro persona et durante quello senza licentia non possono combattere, nè arme muovere contra li nimici & facendo & commettendo delitto contra la republica, overo offesa maiestas; & questo per volere, senza licentia de lo Duca, pigliare, come non possano per ragione, chè per tal disordine o simili inobedientie potriano seguire di molti inconvenienti, chè saria danno di loro, della republica & del signore, chè per disordine de’ Cavallieri o che altro fusse pareria che senza licenza a ciò procedesse. Et questo da giurisconsulti è confermato alle leggi Civili, dove gravemente disponessero tali scomititori & pugnatori senza licentia delli capitani, ancora che a loro seguitasse vittoria; più forte dico che non solo andasse a battaglia senza licentia, ma che ardisce passare il segno, quale le fusse dato per confine o che scrivesse alli eserciti inimici o che loro facesseno segnale, ancora è da dare gran punitione; riducesse Livio, nel secondo De Bello Punico, lo primo detto del consolo Romano, che per causa tale suo figliuolo, vincitore del nemico del popolo Romano, fece decapitare.
  
 
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| '''Capitulo [117] quando nela bactaglia de oltranza o inaltra se farrano ferite corporalis nele membri homani qual avera maiore honore et laude.'''
 
| '''Capitulo [117] quando nela bactaglia de oltranza o inaltra se farrano ferite corporalis nele membri homani qual avera maiore honore et laude.'''
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| '''Cap. 259. Quando nel combattere di oltranza o in altra si faranno ferite corporali nelle membra humane, chi haverà maggior honore & laude.'''
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Occorre dubitatione nelli casi che succedeno nelli membri humani nel combattere, se uno perderà pugnando un occhio e l’altro li denti, chi di tali serà più vituperato: si dice che colui che perderà l’occhio, per esser membro più propinquo all’anima, serà più incaricato di quello che perde li denti, sì ancora che l’occhio comprende tutti li sensi del corpo et è membro & li denti sono stromenti della bocca; se uno serà ferito in faccia haverà più disonore che se nel petto fosse ferito, sul capo o nelle braccie, overo nelle spalle, perchè dice la legge che la faccia de l’huomo è a similitudine di Dio & per questo non si può bollare per giustitia un huomo in faccia, per non maculare la figura, simile alla divina. Et quando l’occhio destro si perdesse nella battaglia seria più incarico di quello che perdesse il sinistro, attento che ‘l dritto è in opinione de gli huomini, così diremo della mano: quello il quale ne fosse privato nella battaglia, seria più incarico perdere la destra che la sinistra, perchè la mano destra opera più in battaglia; similmente, essendo uno percosso al braccio et l’altro alla gamba, qual è manco dignità del braccio; & resta più incarico accadendo che uno Cavalliero havesse dui occhi et l’altro contra lui combattesse ne havesse uno, seria più incarico a quello che n’havesse uno perdendolo, che a quello delli due ne perdesse uno; et se uno perdesse la mano tutta intiera seria più incarico che a quello che perdesse un occhio; & posto che l’uno perdesse il piede e l’altro la mano, seria più incarico di quello che ‘l piede perdesse, che quello della mano in battaglia.
  
 
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| '''Cap. 234. Se ‘l vincitore accetterà il superato per suo prigione & dopo rilasciato con promissione di ritornare, & non volendo, se potrà per il Signore esser costretto di ritornare.'''
 
Seguita una antica questione, d’uno che fosse preso in campale, overo in particolare battaglia & fosse dal suo superatore a fede relasciato, se per giustitia potrà esser dal suo Signore costretto del ritornare & se tenuto sarà ad osservare la promessa. Baldo dice che all’huomo nimico della Republica non si debbe nè fede, nè promissione osservare, sì come vuole ancora il Decretale: resta però in suo arbitrio il ritornare, sì come dice d’uno che fosse per la vita incarcerato, contra giustitia ritenuto & alla fede relasciato, non è tenuto alle carcere ritornare; ma quando fosse giustamente detenuto, saria tenuto ritornare, essendo sotto la fede rilasciato & peccaria fuggendo tale carcere de’ nimici quando fosse preso in licita battaglia, sì come colui che fosse per giustitia a morte condannato, rompendo le carcere della Republica peccaria; ma quando fusse preso d’altrui di strata et di genti d’arme che andassino incorrette contra l’usanza di guerra giusta o publica, color che fossino da tali presi non sariano tenuti a loro richiesta ritornar per pagare la taglia, quando fosse guerra nelle città, ma essendo licita sariano giustamente presi et tenuti di ritornare, come vuole Bartolo et Innocentio; et in caso che fosse dubbio se la guerra fosse licita o illicita, è tenuto per fede ritornare, ma quando chiaramente conoscesse che ingiustamente fosse preso, benchè facesse giuramento di ritornare, non saria tenuto ad observarlo. Et Baldo dice che se uno Cavalliero promettessi d’andare ad un certo luoco in termine d’un mese et fosse per il cammino da uno Barone per comandamento sotto pena impedito, che non si dovesse da lui partire, restando per tale impedimento, non è giusta la causa, attento che deve fuggire per non esser giustamente ritenuto, salvo s’havesse giurato di non ritornare; onde conchiudendo dico per giustitia civile si deve osservar ciò che di sopra è ditto; però li armigeri cavallieri vogliono che senza distintione in guerra giusta o ingiusta si deve totalmente osservare, così ancora coloro che fossero presi in duello celebrato dinanzi al giudice competente, essendo alla fede liberati, la deveno osservare, salvo se dall’Imperatore fossero impediti, com’è ditto; et habbiamo ancora ditto di M. Regulo Romano, che, certo della felice morte, ritornar volse per la promessa fede non mancare, riputandosi per gloria vivere, essendo perciò estinto & cruciato.
 
  
 
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| '''Cap. 235. Se uno superato, per prigione accettato & alla fede relasciato, se potrà riscoter la fede per danari o premio.'''
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Uno che combattendo fosse a tutto transito preso & per benignità del vincitore fosse liberato sotto fede di ritornare ad ogni sua richiesta, volendosi liberare per danari della obligatione della fede, si dimanda il giudice se giustamente può ricercare il suo vincitore: secondo la legge Civile si termina che sì, per togliere la molestia & per il periglio & per la spesa fatta per il vincitore & prepararsi al combattere, conducendosi da parte lontana per cagione del ditto combattere, nel quale havendo vittoria & prosontione c’hebbe giustitia. Dice Innocentio che colui ch’ingiustamente muove la guerra è tenuto alla emendatione delli danni & spese contra di cui è stata la guerra & perciò il perditore, qual si presume contra giustitia haver combattuto, si potria riscuoter così come in guerra giusta fosse stato preso; et colui che ‘l riscuotesse per danari dal suo vincitore, giustamente lo potria eleggere & incarcerare & tenerlo per nome di pegno, infino a tanto che da lui havesse il suo denaro, secondo la legge Civile; dice più che in caso che non havesse da pagare il suo riscatto, servendo per spacio di cinque anni saria libero & non saria tenuto a pagare gli alimenti ricevuti, & quando ch’uno fosse prigione per danari è tenuto quello che lo tiene in suo potere a qual si voglia prigione & chi volesse per buon servo riscattare, dargli libertà per quella taglia che per lui fosse fatta, la quale poi ch’una volta fosse stabilita non potria sorgere nello augmentare lo pretio, havendolo pagato non se li potria niente più dimandare; & in caso che non havesse da pagare si può dimandare il suo servitio d’un certo tempo per ristauratione della pagata taglia; però volendo esercitare in sevigi vili, disconvenienti alla conditione del prigioniero, non saria tenuto servirlo & giustamente potria fuggire; ma quando per pietà lo liberasse o, per qualche altra cagione, di non chiederlo, non saria tenuto pagarlo et in caso che havesse in dono uno prigione dal vincitore ricevuto, lo potrabbe riscuotere, come quivi appresso distintamente vederemo.
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| '''Cap. 236. Modo di sapere se uno richiesto, deve ritornare alla data fede, allegando impedimento, se sarà da essere udito.'''
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Un prigione è liberato in battaglia particolare sotto fede di ritornare ad ogni richiesta del vincitore, del quale essendo richiesto, allegando impedimento, non ubbidì: si dubita se giustamente deve essere escusato. L’Imperatore dicide che s’un soldato sarà richiesto dal suo Capitano che debbi a tal giornata comparire, nella quale s’havesse esercitato la battaglia campale, over per causa d’altro fatto d’arme, non comparendo debbe esser punito, eccetto se mostrasse giusto impedimento, il qual non fosse per lui fraudolentemente procurato, overo che havesse indugiato il partire fin al punto estremo, sopravenendo l’impedimento saria giusto; et se tale prigione fosse impedito per faccende della patria o della sua Republica, o ritrovandosi incarcerato over occupato in guerra del suo Signore, quale giustamente non potria lasciare, o fosse in man delli nimici ritenuto, dalli quali essendo carcerato, saria escusato; o se fosse fermato a tempo per salario in altra guerra, nella quale non havesse fornita la ferma et ancora quando il suo vincitore fosse ribello del Signore commune, o che fosse escomunicato, over sopravenendoci di nuovo capital inimicitia tra ‘l prigione e ‘l vincitore, per la qual cosa dubitasi d’andar per tema della persona, o quando il vincitore fosse con le genti o con il nimico capitale del prigione, o fossero per nuova guerra nimici, non saria tenuto di commettersi in mano del nimico suo vincitore; o quando il cammino non fosse sicuro, over per tempesta non potesse cavalcare, et in simili casi dove apparesse legitima scusa, non finta, giustamente la legge Civile provede, ma cessando quel giusto impedimento ritornare doveria.
 
  
 
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| '''Cap. 237. Se duoi combattendo a tutta oltranza & uno resta per prigione dell’altro, dapoi lo vincitore lo vorria concedere ad un altro per prigione, dimandasi se fare lo potrà.'''
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Si dimanda un’altra nuova questione, d’uno c’havesse un altro in battaglia di tutta oltranza superato, se lo potrà ad un altro armigero suo amico per prigione concedere: la legge Civile dice ch’uno vassallo, over huomo obligato non si può senza sua volontà ad altro concedere, che fosse minore o uguale di conditione del Signore a chi fosse soggetto obligato, ma essendo maggiore potrà obligare il suo prigione: ad esso è obligato per contemplatione della sua vittoria, ma non però per fare mercantia di huomini, come dice M. Baldo di sopra allegato, & per stilo d’arme non si potria darsi ad un altro per prigione, perchè nel suo rendere si submette al suo vincitore & alla sua persona & potenza, qual submissione non si intende potersi ad altro estranio concedere, ancora che fosse suo compagno giurato, perchè non possa a terza persona tal submissione, quantunque con fede data fosse fatto per il perditore.
 
  
 
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| '''Cap. 238. Come quel che morto sarà in duello non muore servo, & se potrà fare testamento & ricever gli sacramenti.'''
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Movesi un’altra dubitatione d’uno che sarà morto & superato combattendo particolare, se resta servo di pena, vuole la legge ch’uno servo non può far testamento, nè atti civili; dicono li Dottori che non è servo, & primo fu M. Baldo, che colui ch’è vinto in duello non resta servo del suo vincitore, considerando che può fare testamento della lizza innanzi ch’el trapassi, overamente poi che fosse cavato di fuori; ma morendo dentro il campo non si potrà dentro la Chiesa seppellire, per esser morto in dannatione, in peccato mortale, secondo santo Tommaso d’Aquino, perciò fatto lo abbattimento non se gli può dinegare la penitenza per la confessione, essendo indebilitato per le ferite, pentito, si può assolvere. Ma nello intrare nel campo non può ricevere assolutione, intrando a combattere con intentione di peccato mortale, con volontà di commettere homicidio, nè si può communicare, eccetto quello che, pentito, fosse costretto per sua diffensione & della verità, se piglia con necessità mal contento la battaglia, over dal suo Signore a ciò constretto o per la patria necessità per diffendere & non per volontaria offesa. Ma essendo ferito a morte con contritione lo potrebbono pigliare & non altramente, benchè fusseno pentiti: nel principio del combattere non se potria communicare come è ditto di sopra; et essendo uno di loro in terra con il coltello alla gola et non si volesse disdire contra la verità a colui che l’ammazzasse, per causa che non volesse il falso confessare, non serà però morto in peccato mortale, per esser morto per voler la verità conservare.
 
  
 
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| '''Cap. 239. Se le persone, che se piglia per lo saccomanno, deve esser del suo patrone o d’altrui.'''
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Havendosi accampati dui eserciti nimici in un piano poco l’uno da l’altro distante, dui conduttieri d’un Principe, cacciandosi fuori di loro eserciti in singular battaglia de tutta oltranza, se è sfidato ciascun con licentia del suo Capitano de lo esercito & essendo uno superato si rende per prigione al Condutiere patron del vincitore, il quale volendo ritenere per suo prigione il suo soldato vincitore, lo ricusava con dire che havendolo lui acquistato con il suo proprio sangue, anchora che fusse renduto al suo patrone, non ha potuto la sua ragione preiudicare, che non sia a lui per pregione obligato: dimandasi de quali sia iustamente il pregione, del patrone o del soldato; M. Baldo dice ch’el prigione che piglia il soldato havendosi con lui condotto in campo per combattere, ancora che se renda al suo patrone, debbe essere del vincitore, attento che per virtù de quello si trova esser preso, e non dal suo patrone, perchè non si debbe attendere alle parole di colui che si rende, quando è per potentia di quello con chi si condusse nel campo superato; ma in caso ch’esso fusse liberato dopo che fusse renduto spontaneamente, per riverentia di quello a chi si rende di parole, sarà prigione di quello a chi è per parole renduto, sì come lo segno lo dimostra, chè ‘l vincitore lassando il suo prigione, quando si rende al suo patrone, mostra che sua intentione sia ch’el prigione sia del suo patrone; ma ritenendolo & menandolo con esso preso, non accettando le parole del rendere al suo patrone, resta in potere del soldato & non del suo patrone. Ma essendo in battaglia universale e non da persona a persona preso, resta prigione del Signore de l’esercito, se a lui se arrendesse. Però lo rimette alla consuetudine militare, dove si può considerare se ‘l vincitore è famiglio, overamente huomo d’arme di quello sotto il qual militava, ma M. Baldo da Perosa fece la distintione che rendendosi al patrone, lo vincitore lo relassarà al patrone iusto pregione. Ma non relassandolo & che lui il menasse preso, saria prigione del famiglio o soldato ch’esso l’ha vinto & superato, et questa è vera dicisione.
 
  
 
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| '''Cap. 240. Se è licito nel steccato mutare querella.'''
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Combattendo dui armigeri per causa di honore ad oltranza, delli quali l’uno conoscendo non haver giustitia, allontanandosi sempre s’andava reparando, come quello che conosceva dovere essere perditore, per non haver giustitia & seguitato dal suo nimico per molti luoghi della lizza, vedendo il seguitatore che quello di continuo fuggiva, li disse queste parole: «voltati, traditore, e difenditi!»; per la qual ingiuria voltosse il fuggitivo ingiuriato, disse «io ti rinontio la prima querela, ma di questo nome traditore che hora falsamente m’hai imposto, sopra di questo teco combatterò», e seguendo la battaglia fu di quella al fin vincitore; e ‘l novo ingiuriante può dire che ‘l suo vincitore non poteva mutar querela in suo preiudicio e combatter sopra la seconda. Il che replicava il vincitore con dire la prima querela fornita per sua espressa rinonciatione &, havendo egli vinto, o per la prima o per la seconda li bastava havendolo vinto, attento che Iddio l’havea permesso per favorire la sua giustitia & perciò doveva esser dichiarato dal giudice lui esser vincitore; l’altro ancora replicava che non dovea essere perditore, per havere combattuto a tutta oltranza per causa di honore: essendo renontiata la prima querela iniusta del suo nimico, confessando per tal renontia essere pugnatore spergiuro & ingiusto, si potea ne la seconda nova querela giustamente recusare, come desditto, nè doveva essere accettato più la nova querela nel combattere, mostrandosi per sua propria bocca essere spergiuro & ingiusto, essendo intrato dentro la lizza per combattere con lo nimico a tutta oltranza per causa di honore contra di giustitia: non dovea essere lui perditore, nè ‘l suo nimico se dovea per vincitore declarare, il quale per essere disdetto, si dovea lui declarare per vincitore, il quale lo fece disdire, confessare & renontiare la sua iniusta querela; si domanda che si debbe per giustitia dal giudice dichiarare sopra di ciò. Dico che per vera giustitia, havendo combattuto per causa d’honore, si debbon dichiarare tutti dui esser vincitori, l’uno alla prima e l’altro alla seconda querela, havendo renontiato alla prima quello debba esser perditore & vincendo nella seconda resta in questo vincitore, attento che nella prima per sua confessione si condanna & a la seconda il primo vincitore, per dui rispetti, debbe essere perditore: perchè fu licito allo ingiuriato per la ingiuria ditta nel combattere et perchè lo tradimento non aspetta tempo di vendicarse, per fare presto la vendetta del discarico; secondo, per causa per rispetto che quello che la ingiuria disse accettò per la seconda querela combattere, che non era tenuto accettare, ne la quale trovandosi superato iustamente resta perditore, però lo potea renontiare, perchè di ragione non potea essere astretto in quella giornata più combattere, havendosi per la prima il suo nimico disdetto, potea ben dire, perchè per la seconda essendo ricercato dal suo inimico in un’altra giornata, se ragionevolmente si dovea combattere, che non l’havesse potuto di iustitia per la disdetta recusare, haveria fatto col suo inimico nova battaglia; et per questo son li fideli deputati nella lizza che ascoltano le parole et vedeno li momenti delli combattenti, a tale che lo giudice, informato, discerna iusta sententia & ciò dico riservando del Cavaliero il migliore giudicio; però mi pare vera, giusta et netta iustitia iudicando così come sopra è ditto, sì come per esempio diremo che ricercando mille Ducati ad uno mio debitore, il quale pendente la causa mi dimanda mille pecore, provando io, per confessione del principale debito, iustamente debbo havere mille Ducati, et essendomi provato essere vero debitore delle mille pecore, a me mandate, si debbe dare sententia in favore di tutti dui, perchè l’uno per propria bocca ha confessato il debito & l’altro per testimoni validi gli è stato provato, debbano l’uno all’altro di giustitia satisfare.
 
  
 
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| '''Cap. 241. Di uno che si rende senza disdetta se, finito il combattere, è tenuto disdire.'''
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Pugnando lungo tempo dui Cavallieri dentro la lizza per causa di honore & essendo l’uno da l’altro abbattuto per terra, trovandose col nemico sopra, cortello in su la gola, disse che si rendeva per ragione e quello dal quale fu accettato & tolta la offesa tutti dui revengono in piedi, intravenne che de la lizza uscirno e ‘l vincitore disse al suo prigione, perchè se era renduto non bastava, havendo per causa di honore combattuto, ma volea che espressamente se disdicesse in suo honore, sì come havendo per lo honore combattuto, lo combattere ricercava morte e disdetta, quale non era fra loro seguita, al quale il prigione rispondea a lui che lo havea accettato per prigione & erano spartiti, non era tenuto a fare altra disditta; l’altro replicando dicea che essendo suo pregione lo poteva constringere a farlo desdire, perchè la battaglia ad oltranza è di tal natura che per fin che se trovano con l’arme in mano li combattenti non è finita, & ditte queste parole lo minacciava con l’armi che si disdicesse; l’altro dinegava, chè la battagli era con tale patto tra loro finita, di lui esser suo prigione, non altramente. Et il vincitore pertinace diceva che dovesse tornare nel pristino luoco, chè intendeva farlo disdire, l’altro replicava dicendo che volea combattere con lui che cercava cosa ingiusta, attento che non era tenuto ritornare nel luoco dove si rendette, perchè essendo preso, havendosi liberato & submisso di esser suo prigione, l’altro diceva, che sopra quello voleva combattere, non era tenuto andarci; & il vincitor diceva, perchè l’havea gittato una volta in terra & acquistatolo per prigione, non intendeva più riacquistare l’acquistata vittoria & sempre ricercava nel luoco ritornare, con dire che ‘l prigione è tenuto fare quanto lo suo vincitore lo ricerca nelle cose della vittoria & quello gli mostrava la ponta della spada, dicendo a quello: «ecco quella con la quale mi voglio diffendere, se sarai pertinace in volermi costringere a quello che non son tenuto: piglia la tua, s’el vuoi vederemo!»; si dimanda se ‘l prigione è tenuto disdirsi, overo al primo luoco ritornare: per vera sententia si ditermina di no, perchè essendo una volta accettato per prigione, non può il vincitore mutare ciò che una volta li piacque accettare, tanto che togliendoseli di sopra, ponendolo in libertà è seguito lo effetto. Et questo disse M. Angelo da Perosa, quando dui cavallieri Franzesi assicurati per il Signor di Padova insieme combatterono, intravenendoli simil caso, disse che quando un Cavalliero si rende et è accettato dal vincitore è fornita la battaglia et le parti non si posson più pentire, come habbiamo ditto di sopra di quella battaglia. Et più dico havendosi per causa di honore combattuto, dandosi per prigione tacitamente è disditto, come appresso meglio diremo, parlando della disditta più diffusamente.
 
  
 
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| '''Cap. 242. Se uno Cavalliero superato in battaglia & lasciato alla fede, se poi dinega, se per il provocatore si può riducersi a combattere.'''
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Essendo un armigero da un altro in battaglia preso & liberato in fede, il quale di lì a un certo tempo dinega esser mai superato, si dimanda se ‘l suo vincitore lo potrà altra volta a battaglia provocare per provarli il vero, come da lui è stato vinto: si risponde di sì, perchè dinegando viene a spogliare il vincitore della sua ragione con gran falsità & rompendo la fede data commette delitto d’infideltà; come di sopra è ditto nel secondo libro, dove si tratta de simili casi, si può combattere et per questo si debbono fare gli instromenti publici della vittoria per il notaro e il giudice il quale è tenuto tenerlo et debbe essere rogato delli fatti che succedono nel combattere, acciocchè la parte vittoriosa vadi per tutto con la chiarità del fatto, over con patente del giudice.
 
  
 
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| '''Cap. 243. Del fin della battaglia d’oltranza.'''
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Quivi faccio fine ad ogni singular battaglia d’oltranza, fatta per causa d’honore, & morte o disditta o confessione espressa dell’opposto di quello che a combattere sarà condutto per forza d’arme; & sarà simile al tormento che ne’ malefici si suole per il giudice dare, per trovar nel dubbioso delitto la verità, come è ditto di sopra, & tal disditta si ricerca farsi o per il provocato o per il provocatore che fosse vinto & superato per forza d’arme; e la disditta o confessione deve esser chiara & netta, in modo che non resti dubitatione alcuna nella mente del vincitore, del giudice & del circostante, come che per esempio diremo ch’uno habbi morto il suo compagno, overo c’habbi tradito il suo Signore, il che sarà dinegato essere il vero & volendo l’infamiato per tal cagione combattere, intravenendo la disditta per il provocante o per il provocato, è di necessario disdicendosi il provocato che dica che lui l’ha morto in tal dì, in tal luoco et per tal cagione iniqua; et falsamente disdicendose il provocatore è di bisogno che dica «io t’ho accusato d’homicidio falsamente, perchè non è vero che tu l’habbi morto»; et quando la disditta si facesse per altro fatto, bastaria dire «io l’ho fatto e ditto iniquamente et contra ogni ragione, overo come a perverso huomo, traditamente fuori d’ogni humanità, ho commessa la accusatione perversamente», o che dicesse «io confesso ciò che tu dici diffendendo essere il vero & quello, ch’è diffensato ingiustamente combattendo, è stato falso, perchè mi pento & conosco che non lo dovea fare, nè dire», sì che confessasse con parole che comportassino simile effetto, chè non rimanesse alcuna dubitatione nella mente del vincitore, come è ditto di sopra; & se questo si farà si chiamerà disditta espressa, perchè alle volte si suol fare tacita, quando dicesse «io son vinto & superato», come disse colui nella battaglia di Padoa, della quale di sopra habbiamo fatto mentione, o se dicesse «non più, perchè io son tuo prigione» o «chè io ti prego che non mi debbi ammazzare, perchè voi haveti la ragione», che dicesse «donatimi la vita» o dirà «io mi rendo & non voglio più combattere, fati di me quello che vi pare, io dimando la vita in gratia per misericordia, perch’è in potestà vostra: fallito alle vostre mani mi rimetto per morto»; queste submissioni satisfacendo al vincitore potrà usare humanità di non ammazzarlo, o per clemenza: odendo lo giudice le parole & conoscendo l’honore & la ragione dell’altro, spartendosi saria disditta tacitamente fatta con honore del vincitore; & M. Baldo dice che se dicesse «io mi rimetto nelle mani vostre o al vostro giudicio» o che dicesse «io ho mancamento contra di voi, il che rinontio la battaglia», si debbe usare clemenza per il vincitore, perchè s’intende che come ad huomo humano si rimette. Ma se dicesse «io mi rimetto nelle tue mani com’huomo morto», lo potria occidere, come ho già ditto. Ancora se dicesse non più che «son morto!», saria disditta tacita, over se con riverentia cercasse mercede o perdonanza saria disditta manifesta, quando bastasse al vincitore. Ma cercandola chiara & espressa, si debba far satisfatione del vincitore, perchè alcuna volta si fa per via di escusatione, qual non è disditta vera, nè legittima, ma è una compositione concordia o transatione; & questo si farà quando offesa, incarico o parola ingiuriosa che fosse ditta o fatta si ponessi per il giudice ad honestare, volendo poner pace & concordia, come ne daremo esempio: quando uno appellasse traditore un altro et, odendo le ditte parole, un altro da parte sospirando, perchè per lui fossino dette, et dicesse «tu non dici il vero, perchè non son traditore», se l’altro replicasse dicendo «io non l’ho ditto per voi, ma per colui a chi disse le parole», questa saria iscusatione & non disditta, attento che quando havessi prima affermato ch’era vero ch’esso era traditore et dicendo dopo l’opposto, saria disditta publica; o che uno officiale andasse per il torniamento con un bastone in mano o con la spada ordinando la gente & desse ad un cavalliro, che per questo volessi con lui combattere, & colui dicesse «io non lo feci per darvi a voi, ma casualmente senza mio proposto vi toccai» non saria disdire, ma iscusare il fatto, ancora se dicesse «io vi detti senza mia intenzione, over ch’io non vi conosceva, perchè non ho fatto bene» e dicesse «ingiustamente l’ho fatto & havendolo fatto nol feci a male oggetto», questo non saria disditta, ma iscusatione, quando prima non havesse fatto contesa all’incontro, perchè quello ch’una volta havesse fatta contesa et dopo si iscusasse, saria chiaramente disditta; et se uno havesse promesso ad un suo amico, sotto la fede sua, adoperare che non fosse offeso dal suo nimico, havendo quello constretto & havuta promissione per fede di non l’offendere, mancando della sua promessa, perchè l’offeso richiedendo il promissore della rotta fede di combattere con lui, dal quale fosse replicato dicendo che è vero, che promesse d’operare sì & talmente che non fosse offeso da colui, ch’ebbe la fede di non l’offendere, onde havendolo offeso dopo che da lui la fede ricevette, gli parea havere operato ciò che promise, considerando che non potea più fare se non haver la promessa fede da lui di non offenderlo, & se poi è contravenuto non si debbe a lui per fallimento imputare: questa si chiamerà la iscusatione & non disditta, dandosi per fallito; però la causa saria per l’offeso et per il promettitore da seguire contra il mancator della fede nel combattere. Sì che concludendo dico in quale si voglia modo quello c’ha fallito colpabile o perditore maldicente o malfattore si darà, si chiamerà disditta, havendo prima il contrario abbattuto, eccetto se per via di iscusatione, la quale esclude ogni malvagia cogitatione et proposito, et quello che fuggisse dal campo sarebbe più vile disditta di quella che per forza d’arme fosse fatta & per confesso vinto d’infamia et ricusato si debbe riputare; havendo uno Cavalliero notitia d’una donna, che falsamente in adulterio era accusata, deliberò con arme lei diffendere et conducendosi nella città dove era pigliata et in carcere ristretta, la quale di quella contra gli accusatori, quale erano duoi, menò con lui un altro valoroso Cavalliero, il quale promise esser con esso nel diffendere la donna; et data la fede nella battaglia et la giornata fra tutte due le parti, il cavalliero con il compagno comparsero con l’arme diputate & intrarono gli accusatori dentro la lizza; uno di quelli, non volendo seguire alla battaglia la rinontiò fuggendo: perchè il Cavalliero diffensore della donna volse solamente con il restante accusatore combattere, del quale fu vincitore, per la qual vittoria il fuggitore compagno del superato per traditore & disditto & mancatore di fede fu condannato. In un altro simil caso, duoi Cavallieri disfidati pure per donna & duoi altri alla giornata comparsero armati a cavallo, & essendo nel principio della battaglia, fuggendo il suo compagno, solo rimase contra li duoi, con li quali tanto valorosamente combattè che al primo corso l’uno per il petto d’una hasta di lanza lo trappassò, dopo vincendo l’altro venne ad havere di tutti duoi la vittoria, per il che il suo compagno fuggitore fu dato per traditore, per vinto & per infame; onde, ritornando al mio proposito, dico che la disditta è il maggior mancamento che possi havere uno Cavalliero, sì che è più honore la morte con qualche riputatione che non la disditta vilmente, la quale è infamia perpetua, perchè colui ch’è superato & morto dal nimico può dire esser morto diffendendo il suo honore, in quanto le bastò la vita. Ma lo disditto, lui medesimo s’ha occiso, lui & l’honore suo perpetualmente. Dicono gli animosi Cavallieri che più presto vorrebbono esser morti che disditti: questa è la virile ammonitione che si suole dare a coloro ch’entrano nella lizza per causa d’honore; la infamia di tal natura fa il vivo morire ogni dì & quelli che muoreno con gloria per vivi nel mondo dalli Cavallieri gloriosi & degni sono riputati.
 
  
 
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| '''Cap. 244. Della prova quale si fa per la battaglia da persona a persona.'''
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L’ordine delle battaglie particolare da persona a persona, dovete sapere & intendere che furno trovate & indutte dal giudicio militare, che con arme si dovesse provare la dubbiosa differenza, quando per altra prova non si potesse nelli civili giudici trovare, nè per altra manifesta congettura si potesse il delitto presumere. Onde essendo uno accusato de homicidio & volendo allegare haverlo per sua defensione commesso, allhora si potria pigliare la querella del combattere personale di provare, lo accusatore & lo accusato, contra, difensarse in giudicio di cavallaria: in tal caso volendo lo colpato fare prova havere fatto per sua difensione lo homicidio, debbe provocare lo accusatore nella battaglia. Ma posto che ‘l Principe comandasse si dovesse procedere alla punitione del homicidio, non può più allegare lo accusato volerlo provare in battaglia haverlo morto in sua defensione, reservando quando li apparesse accusatore; la ragione è questa, che non debbe combattere con lo Principe per la disconvenientia della conditione, nè con lo iudice inquirente per la dignità dello officio; et la prova che in battaglia si vuol mostrare, si vuol causare di causatione incerta e quando lo accusato per forza di armi confessasse il delitto, si deve punire più leggermente che quando per testimonij li fusse provato, chè la prova del combattere fa il perditore essere vinto, ma però è incerta presontione che veramente habbi peccato; & remanendo lo accusato della battaglia vincitore, si debbe per sententia absolvere dalla castigatione della pena et li dovesse donare l’honore de la vittoria con grandissimo favore, perchè presume esser innocente del peccato; et quantunque la prova che si fa, cioè il combattere, sia reprovata per divina prohibitione per esser cosa diabolica, investigatione ritrovata, nientedimeno li armigeri dicono che in battaglia, di continuo, Dio per divino miracolo sempre la verità corona di vittoria, affermando chi con iustitia combatte mai potria esser perditore; però cosa incerta è, conciossiacosacchè spesse volte vedemo che molti contra di giustitia combatteno et, per ritrovarsi più gagliardi di quello che con ragione ha pigliato l’impresa, restano vincitori; & questo interviene per la disparità che è nelle forze delli armigeri & tal ragione fu del Papa & di Federico Imperatore, parlando delle battaglie che si fanno per esperimentare la verità & della falsa oppositione conoscere il vero.
 
  
 
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| '''Cap. 245. Quando lo provocatore insultasse lo richiesto innanzi che venisse al deputato luoco.'''
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Si dimanda al giudice deputato, trovandosi dui disfidati per differentia a combattere in cammino per andare al loco determinato del combattere e l’uno contra de l’altro insultasse, inanzi che allo assecurato campo pervenesseno, vincendo lo insultatore, se lo assalito fusse iustamente superato e se lo insultatore debbe essere traditore reputato, per haver insultato lo inimico contra la conventione. Si responde che quantunque siano i nimici disfidati di volere in tal campo, con tal giudice & in tale giornata combattere, non fu però licito offenderlo prima che al deputato loco pervenissero, attento ch’essendo lo insultato adoperato fuori del campo senza l’ordine che alla battaglia si ricercasse, iudica esser specie di tradimento; e per ragione di Civile legge di cavalleria non si può insultare senza disfida, quale havesse ad avisare il nimico che non se dovesse trovare sprovisto nel combattere, tanto più quanto che haveano trovato loco, iudice e l’ordine di combattere con la sicurtà di campo; benchè habbia superato, contra la conventione non è però vincitore, anzi ha commesso il tradimento e vuole la legge Civile e la Imperiale comanda che l’offensore sia tenuto de li danni de lo offeso emendare per haverlo traditamente superato, che per lo traditore lo potria ritornare a combattere, & merita dal suo superiore essere aspramente & atrocemente punito, come a mancatore de la sua promessa fede & da perfido traditore, secondo lo stilo d’arme & consuetudine & di cavallaria se reputa; et questa è la sententia verissima, per volere una tal questione decidere.
 
  
 
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| '''Cap. 246. Se ‘l richiesto non trovasse Principe, quale volesse dare luoco sicuro al combattere, se tenuto sarà d’andare a gli Principi d’infideli.'''
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Quando fosse un cavalliero o qualsivoglia altro armigero a combatter personale, provocato con requisitione, che dovesse luoco sicuro & giudice competente trovare, sì come per stile & consuetudine tal combattere si ricerca, cercando per tutta la Christiana religione e non trovando il Principe da cui potesse il campo ottenere, essendo richiesto dal suo provocante che dovesse tra la Barbara et infidele natione ricercare, non saria tenuto tra la Barbara & infidele natione per tal causa ricercare, ancor che ‘l provocante lo richiedesse. La ragione è questa, che niun Christiano si deve submettere in giudicio d’infidele, benchè molti Cavallieri Christiani siano andati ne’ paesi d’infideli per combattere; nondimeno, per ragione di legge scritta, non è concessa, attento che comanda a tutti i sudditi Christiani che non vadino in terra d’infideli senza licentia del superiore, nè condurvi cose da nostra fede prohibite, perchè gli Re infideli sono nimici della Christianità & per tanto gli infami di nostra fede riprovare non possono, arbitrare, nè giudicare criminali differentie causate tra li Christiani; attento che niun Christiano può dare facultà a niuno infidele de Christiani fare giudicio & colui ch’andasse per tali cose da’ Barbari infideli, essendo per Christiano perduto, prima ch’egli arrivasse, per schiavo perpetuo in poter di colui ch’el pigliasse per ragione restaria, qual potria vendere per captivo; & più che la nostra fede prohibisce che per niun tempo lo debba in niun modo liberare, benchè a’ servi si costuma dare libertà a volontà de’ patroni; & per questo è da sapere che ‘l richiesto può la ingiusta dimanda dal suo requisitore ricusare, in caso che ‘l provocatore in cospetto di Re infidele il suo provocato per contumace bandeggiasse, non però la sententia: anzi per quella potria il requisitore, nella sua tornata, dello ecclesiastico giudice & secolare, aspramente esser punito et oltra di ciò si deve cancellare ogni atto scritto in contumace del Christiano Cavalliero che contra l’honore suo per giudice infidele fosse adoperato, ricusando il giudicio di gente Barbara, che con la falsa opinione di Macometto si governano, benchè sia licito, in caso di necessità al Christiano, ausilio di infideli, invocare la Batbara natione, per non essere in la legge prohibito; non s’intende perciocchè dui Cavallieri debbano cercare giudicio da infideli per ragione soprascritta.
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| '''Cap. 247. Se per il prelato si potrà prohibire il combattere particolare, essendo per il Principe secolare permessa.'''
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Si dubita ancora, havendo un Principe mondano concesso a dui Cavallieri o armigeri licenza di combattere in particolar battaglia, se ‘l prelato della città potrà quella prohibire, chè non seguisca: si dimanda perchè si risponde di sì: per ragione che il Decretale ha provisto per vietare il peccato havere provata la consuetudine del combattere per differenza, et per questo la Chiesa giudica li casi dove può seguire homicidio et perditione delle anime, dispone che ‘l prelato possi vedare le battaglie volontarie, ancora che ‘l Principe secolare havesse dato il campo sicuro, permettendo il combattere; in tal caso doveria esser più ubbidito il prelato che ‘l Principe, considerando ch’è caso di conscienza et dal Papa espressamente riprovato, in modo che ‘l Principe mortalmente peccaria, volendo lui disponere in ciò che è per lui submesso alla Chiesa, che non è al stato secolare.
 
  
 
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| '''Cap. 248. Come si debbe per ragione eleggere & denegare lo iudice competente nel combattere particolare.'''
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Soleno molti Cavallieri di continuo domandare qual fusse iudice competente fra dui armigeri che havesseno differentia di combattere cercandolo, a li quali se responde secondo la legge scritta: quando fusseno subditi di uno medesimo principe, quello saria iudice competente, essendo il caso per iuste cagione dovesseno combattere, sì come di sopra habiamo referito, perchè se presume che con eguale affetione, senza passione d’animo nel iudicare de qual iusta sententia & perchè la battaglia si fa per esperimento & prova de la verità, de la quale essendo il iudice fra dui sudditi niuna partialità commettaria nel iudicare; ma in caso ch’el Principe loro iudice recusasse o che il Principe intercedesse in lo combattere per qualche iusta cagione, overo che fusseno sudditi di dui altri signori, allhora si doveria per le parte cercare per iudice principe che a nessuno fusse sospetto, però la sospitione vole essere iusta; & quando fusseno li Cavallieri disfidati a la battaglia, che in l’esercito di arme si ritrovasseno militando sotto uno Capitano o conduttiero de esercito, allhora quello saria giudice competente, cioè lo loro Capitano; et quando seguisseno dui eserciti saria giudice competente uno delli capitani, overo altro Principe libero, il quale loro iudicio accettasse et che fusse perito per longa esperientia delli fatti della militia in tali casi et che la sua corte fusse guarnita de copia de Cavallieri armigeri et nobili huomini esperimentati nelle arme, per rispetto che quando fusse Principe che non havesse esperimentata la militia et in le arme mal pratico, non serà idoneo giudice, essendo più in esercitio di altre faccende adoperatosi, quale non convenesseno a Principi militari, come son mercantie, musiche, caccie, balli et altre lascive delitie cortesane, di modo che mai havesse le arme esercitato: saria giudice insufficiente, volendo nelli casi de l’arme giudicare, quando in quelle non fusse conversato, nè ben perito, ancora che fusse in altre cose prudentissimo, per non havere la esperientia, nè peritia nelli casi dubij che accadesseno nel combattere, non potria iustamente iudicare; et posto che dui Re o dui Imperatori volesseno combattere de cosa che alla Ecclesia pertenesse, alhora lo Imperatore, overo lo Papa, seria iudice competente, sì come di sopra è detto de Re Carlo & de Re Pieri & ancora de uno altro Re, li quali volendo pugnare andorno a Bordella, che era de Re de Anglia, el quale, sì come la cronica de Gio. Villano fiorentino referisse, mandorno da quelli el suo frondico per iudice competente & che dovesse tutti li accidenti de la loro battaglia iustamente iudicare.
 
  
 
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| '''Cap. 249. Qual principe per ragione ha autorità concedere el combattere da persona a persona.'''
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Si debbe ancora sapere & intendere qual Principe haverà potestate concedere la licentia alli armigeri che per differentie loro havesseno deliberato combattere; perchè si debbe notare che solo Imperatore, Re, Duca libero, communità non submessa o altro Principe senza superiore, c’havesse potestà assoluta in suo dominio, potrà il campo sicuro concedere, il quale li Baroni sudditi, quantunque havessino titolo di Principato, over di Ducato non potranno giustamente concedere tal licentia, nè ancora un Commissario Regale, benchè fosse generale dal Principe libero delegato, non potrà giustamente permettere la battaglia, salvo fosse gran Contestabile capitano di guerra o conduttieri d’esercito d’Imperatore, Re o altro Principe libero, potria della battaglia particolare tra quelli ch’esercitano la militia sotto il suo stendardo, ancora che fossino forestieri & armigeri & strani; ritrovandosi nel campo suo, non perciò lontano allo tenitorio dove il suo esercito dimorasse, posto che fosse in provincia non suddita al suo Imperatore, over Principe, potrà per l’absentia del suo Signore a dui armigeri o Cavallieri cercando il campo, liberamente concedere; nè ‘l Capitano o Duca di arme, in presentia del suo Principe, haveria tal potestà, di onde non apparesse espresso consentimento del suo Signore da poter concedere il campo; & posto che lo concedesse, sarebbe uno modo di riferire la volontà del suo Signore & per sua potestà, la quale non haveria quando ancora non gli comparesse il primogenito figliuolo del suo Signore, o altro figliuolo che fosse Vicario generale: haveria potestà più che il conduttiero, over Capitano dell’esercito, nel concedere la licenza del combattere; però si deve intendere che ‘l Capitano, overo il Conduttiero, dello esercito tiene il secondo loco della potestà de’ loro Principi, perchè posson con sicurtà concedere la potestà del combattere a gli eserciti per loro volontà & oltre a questo eleggere giudici & altri officiali sopra la administratione dello esercito, quale guidano; & per questo nel luoco dove si trovano essere accampati possono concedere licentia, così il conduttiero, come uno Signore, che fusse considerato in compagnia & in lega col suo Signore nel tenitorio che fosse del Signore considerato, potrà la licentia, & ancora altra sicurtà concedere l’uno in tenitorio dell’altro, attento che la giurisditione del dominio tra li Principi confederati è commune, che l’uno nella signoria dell’atro può per sua volontà disponere, sì come vuole la legge, quale de ciò fa espressa mentione.
 
  
 
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| '''Cap. 250. Del giuramento di quelli che vorranno intrare a combattere in battaglia particolare di oltranza.'''
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Non si debbe lasciare in dimentico, anzi è necessario facendo espressa mentione, del giuramento che debbano fare quelli che ad oltranza hanno deliberato combattere: perchè è da sapere che secondo la legge Longobarda, fatta per gli Imperatori che in Italia quella indussero, vuole ch’el provocatore, over requisitore, doverà giurare & non il provocato; & quando uno accusasse per sospettione dove per necessità fosse costretto nel giuramento, non lo potrà giustamente fare, eccetto se dicesse per sospetto havesse deliberato combattere; & in caso che per giuramento affermasse che per verità & non sospettione combattesse, debbe di verità giurare, come per la constitutione fatta per Federico Imperatore; si dinota che debbano per giustitia tutte le parti del caso suo giurare, cioè diffender ciascuna querella di verità, senza alcuna malitia, credendo esser vero ciò, per il quale dicendo, a combattere si conducano; et così ancora debbano li campioni giurare di diffender la parte per la loro, quale senza calunnia credono combattere & che li lor principali diffendono iusta querella; & oltra questo debbano li campioni giurare di combattere con tutte le lor forze, sì come appresso vederemo nel libro dove si tratta de’ campioni; & benchè alcuni havessino ditto che ‘l perditore, fatto il giuramento, fosse in pena di tradimento, ritrovandosi perditore nella battaglia, questo non potria per giustitia, nè per ragione procedere, attento che tutte le scritture dicono il giudicio della battaglia non esser vero, ma falso & è dicisione di Federico Imperatore che quantunque armigero per forza si disdicesse, non resteria però traditore, riservando se fosse accusato de crimine lege maiestatis, perdendo in battaglia saria traditore, o se combattessino per altro tradimento, saria lo superato & vinto per traditore riputato, non però in altro caso, eccetto se per capitoli fosse espresso che ‘l perditore dovesse per traditore rimanere, sì come fecero quelli che in Padoa con tali Capitoli combatterno, che ‘l perditore restasse traditore.
 
  
 
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| '''Cap. 251. Quando fusse fatto per lo giudice bandimento che quello de’ combattenti che trapassasse il segno fusse perditore.'''
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Essendo ordinata una battaglia nella quale il giudice facesse prohibimento per Decreto che niuno delli combattenti dovesse il segno del campo trapassare, essendo il termine per aratro designato, overo che di ligname fusse composto, non solamente con tutta la persona, ma ancora di niuno membro & quello il quale presumesse uscire con tutto il corpo integro, overo di alcun membro, fusse di quello privato & oltra questo dovesse essere perditore de la battaglia; il che successe nel combattere che li pugnatori nel segno si accostorno e fu per forza dell’impeto del combattere & cascarono insieme a terra, uno con il capo di fuora del segno & l’altro con tutta la persona di fuora che la testa: si dubita qual sia il perditore, perchè pare a molti dovesse essere quello il quale cascò con il capo di fuora, perchè è il principale membro che sia de l’huomo, però oltra disse che quello il quale fu fuori con tutti li membri dovea esser perditore, per haver fuori la maggior parte del corpo; alcuni volseno dire che doveria esser patta per rispetto che ‘l capo importa quanto tutto il busto; perchè l’ultima sententia a molti parve la più vera, però per autorità di legge pare che quello che fu di fuori con più membri dovea essere il perditore, per ragione che la testa saria niente senza lo ornamento de gli altri universal membri; nientedimeno fu donata la sententia data nel presente caso, che stando la ditta ordinatione i duoi combattenti, l’uno prese e ferì l’altro gravissimamente et oltra a questo, pigliandolo per il collo per batterlo per forza di fuora dal segno, nel quale approssimandosi cascò in terra, in modo che ‘l percussore, per il suo cascare, fuora dal segno se ritrovò et trovandose il perso dentro fu per vincitore reputato, per rispetto che per tempestatione fe’ il suo superatore fuora del segno cascare, perilchè ne venne a perdere il campo: qual sententia per ingiusta & iniqua se condanna, perchè osta per caso fortuito fuora dal segno l’acquistata vittoria, non per incontro, nè per virtù del nimico, nè per disobedienza deve essere perditore condannato, per rispetto che non si deve nelle estremitati attendere, quantunque si dovesse nelli estremi ponti considerare quanto per botta o per forza del suo nimico fusse fuora dal campo cacciato, chè si mostraria per violenza di quello haver perso il campo o che per paura o per non voler ubbidire andasse di fuora, stando l’altro fermo dentro del campo, saria lui fuori uscito perditore: però in tal caso non debbe essere perditore per la ragione sopradetta, che fu per infortunio & non per gagliardia del nimico, considerando che l’haveva preso & ferito & postoselo su le spalle con la sua propria fortezza & strenuità in battaglia: di virtù & honore o di oltranza giustamente dovea vincitore rimanere.
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| '''Cap. 264. Se uno è infamiato di tradimento & vinto alla battaglia & non si vuol disdire, s’è tenuto per traditore.'''
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Seguita una dubbiosa questione disditta, di uno che venisse a differenza del combattere con un altro per causa che lo havesse tradito et ingiuriato, il quale gli offerse farlo in battaglia disdire o confessare non essere il vero, che fosse traditore, et pervenendo alle mani dello requisitore, havendolo in terra abbattuto, tutte le sue forze adoperò per farlo disdire, perchè lo richiesto abbattuto diceva che non si voleva mai disdire, in modo che prima fu ammazzato, che volesse disdire. Onde il vivo dimandò al giudice che dovesse dar la sentenza in suo favore, perchè havea occiso il suo richiesto avversario, che havea promesso farlo disdire; il perchè si dubitava per certe ragioni in favore del morto si producevano, che ‘l vivo non solamente non era vincitore, ma senza arme esser vinciuto, per cagione che promesse et s’offerse farlo disdire, la qual cosa non havendo fatto non havea satisfatto alla promessa, nè quella attese, anzi il morto, per non disdirsi, virilmente ha promesso prima farsi occidere, che l’honore suo maculare per disdetta; per il che doveria lui havere l’honore, per havere la sua promessa riservata & farsi uccidere & perchè il nimico ha mancato di ciò che promise è stato vinto & l’altro ha resistito alle sue forze, nè s’è disdetto infin che vivo si ritrovò & si può dire che la morte pose fine nel suo disdire et dassi monitione più presto morto che disditto. All’opposto si allega per parte del vivo, il quale havendo ammazzato il nimico può dire havere fatto più che non offerse, perchè morto combattendo è una disdetta & sono simile effetto, per questo il detto morto si può dire esser disdetto, perchè dimostra per la morte haver ingiustamente combattuto & perduta la vita insieme con la battaglia & questo venne ad esser più che disdetto; et così il giudice intendendo la causa decise essere il vero tacitamente: ogni morte in sustanza è disdetta, per conseguente è morto del vivo, perchè offusca & deturpa la fama del disdetto et così ancora quando si combatte ad oltranza la fine è morte o disdetta, et son però assimiglianti; ma tornando al caso, quello che offerse espressamente con la sua bocca farlo disdire, colui ch’è constretto non si volse disdire, perchè non incorse la morte, non si può dire essere atteso ciò che disdisse espressamente, per questo si doveria dare sententia che ‘l requisitore non ha adempiuto la promessa & il morto morì con honore, non volendosi disdire, ma non si potria giustamente giudicare il vivo esser perditore, havendo ucciso lo nimico, per che la morte in battaglia darli grande honore; nè anco si potria giudicare il morto esser vincitore, quantunque habbia ricevuto il martirio della morte per non disdire, benchè gli sia più honore quanto alla gloria militare, come faceano li Romani antichi & molti altri cavalieri moderni volsero più tosto morire con honore che con vergogna vivere; però sono pochi de’ cavalieri che tal prova fatta hanno; & disse M. Baldo gran dolcezza è nel vivere, tal che molti scusano con la forza et terrore dell’armi haversi disdetto, ma la lor scusa a buoni cavallieri d’arme non è honorata; li cavalieri antichi giuravano non vietare la morte per la Republica, nè credere, si potria, dare altra sententia, come è predetto, che ‘l giudice dichiarasse che ‘l procuratore non abbia adimpita sua promessa, et dare laude al morto, che con honore morir volesse per non disdire; nè però si doveria il morto pronunciare vincitore, perchè dove è la morte non si può far giudicio di vittoria, nè il vivo esser perditore, havendo data la morte al suo nimico; ma in caso che ‘l requisitore havesse detto voler provare il contrario et mostrarli c’havea detto falsamente, ammazzandolo, meritamente doveria la vittoria riportarne, over quando havesse detto «ti farò disdire» & combattendo l’havesse ucciso, non havendoli richiesto nella battaglia che si dovesse disdire & il morto non havesse detto «io non mi voglio disdire»: allhora s’havesse ucciso senza resistenza seria come disdetto; et ciò scrivo riservando sempre il giudicio de i Principi d’armi & d’altri cavalieri, che con miglior ragione si movessero in dar più retta sentenza.
  
 
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| '''Cap. 252. Se dui armigeri o Cavallieri in dui campi se disfidasseno fuori dall’esercito, se si debbono punire.'''
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| '''Cap. 265. Qual è maggior dishonore, o fuggire o disdire con la propria bocca.'''
Sono dui campi di capitani armigeri accampati & uno Cavalliero o altro armigero & che uno sottomette un altro e l’altro viene a le mani, partendosi dalli campi dalli suoi capitani, e combatteno, si dimanda se costoro ponno esser puniti: si dice di sì et la ragione è questa, che loro mancano all’honore loro, essendo obbligati al servitio dello esercito con loro persona et durante quello senza licentia non possono combattere, nè arme muovere contra li nimici & facendo & commettendo delitto contra la republica, overo offesa maiestas; & questo per volere, senza licentia de lo Duca, pigliare, come non possano per ragione, chè per tal disordine o simili inobedientie potriano seguire di molti inconvenienti, chè saria danno di loro, della republica & del signore, chè per disordine de’ Cavallieri o che altro fusse pareria che senza licenza a ciò procedesse. Et questo da giurisconsulti è confermato alle leggi Civili, dove gravemente disponessero tali scomititori & pugnatori senza licentia delli capitani, ancora che a loro seguitasse vittoria; più forte dico che non solo andasse a battaglia senza licentia, ma che ardisce passare il segno, quale le fusse dato per confine o che scrivesse alli eserciti inimici o che loro facesseno segnale, ancora è da dare gran punitione; riducesse Livio, nel secondo De Bello Punico, lo primo detto del consolo Romano, che per causa tale suo figliuolo, vincitore del nemico del popolo Romano, fece decapitare.
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Circa la disdetta mi occorre un’altra dubitatione, qual seria più dishonore disdire uno armigero con la propria bocca, over dal campo codardamente fuggire: benchè sia di sopra narrato che ogni fuga è disdetta, quantunque parte siano simile, pure si differisce, perchè la fuga procede da maggior viltà che non è la disdetta, considerando che lui stesso per propria miseria si condanna & promette senza arme farsi superare, perchè debbe ogni sua forza prepararsi, quando gli fosse possibile mostrare la sua virtù per non fuggire, come interviene a quello ch’è in potenza dell’avversario & per forza d’arme si disdice col tormento delle ferite ricevute animosamente, quando che egli fa il possibile di resistenza, per volere la fama dell’honor suo diffendere; onde se le sue ultime forze non basteranno a vincere, facendo disdetta per non morire è meno dishonore, perchè la forza dà alcun colore di giusta escusatione & pare che sia cosa che proceda contra la propria volontà, che per forza fa disdetta; et pertanto il fuggire è maggiore incarico che per forza d’arme disdire, perchè lo perdere con honore non vitupera tanto il perditore, quanto che a perdere con viltà & con incarico di fuga & sempre si debbe tentare la fortuna per la vittoria, non si debbe senza resistenza dare l’honore all’avversario, perchè non è maggiore ingiuria del fuggire dinnanzi ad uno, dove non si conosce avantaggio, nè maggior riputatione s’acquista che seguire il tuo nimico che per paura ti fuggisse.
  
 
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| '''Cap. 253. Che essendo una volta abbattuto uno Campione non potrà più per altro combattere, eccetto che per lui.'''
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| '''Cap. 266. De dui combattenti, uno cavò un occhio al nimico & l’altro gli tagliò il naso, si dimanda quale haverà più honore de li dui.'''
Descrive ancora l’Imperatore Federico che uno Campione, essendo una volta superato in battaglia, non potrà più per altro essere Campione, eccetto se per lui deliberasse combattere, perchè Seneca dice “poichè la virtù di un huomo è abbattuta per una volta, non è più securtà in quello”; et vuole Federico Imperatore che uno Campione che si portasse fraudolentemente nella battaglia per non combattere con tutte le sue fortezze, debbe essere punito di quella pena che meritasse quello per il quale havesse combattuto, overo li doveria essere tagliata la mano per sua punitione.
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Facendose una battaglia fra dui armigeri, quali havendo fermati i Capitoli chi meglio facesse fosse vincitore & havesse honor della vittoria e quello che peggio facesse restasse perditore & pregione del vittorioso, accade nel combattere che uno a l’altro un occhio li cavò & quello che lo perdette all’altro il naso li tagliò, & finendosi la battaglia, dubitandosi, se domanda quale di lor fusse più honorato vincitore, onde quello che haveva cavato l’occhio al compagno mostrava havere maggior parte nella vittoria honorata, attento che in questo mondo non è altra miseria ch’esser privo della vista, per rispetto che fa restare l’huomo inutile a tutte le cose e per esser l’occhio membro nobilissimo, e per esser collocato in eminente loco, è dignissimo membro per esser posto in testa, quale è il principale & governatore di tutti gli altri membri humani, attento che li guida & conduce, con lo instrumento dello lume, dove a lui pare & piace; & per quello si cognosce & discerne tutte le cose della natura, la imagine del quale allo cervello & al core rapresentano e conservano la memoria delle cose visive e fanno l’huomo combattere & legger come instrumenti necessarij a gli esercitij; ministrano, allegrano il core che in mezo del corpo humano è realato, con la quale per la virtù visiva, allegrandosi con allegrezza; se notifica, il perchè ragione è di vivere lungo tempo, che per essere il naso membro inutile nel capo e vile, per cagione ch’è conduttore delle feccie del cervello et per quello se conducono li puzolenti vapori della testa & per essere lo senso de lo odorato inutile al corpo humano: altra utilità di quello non si sente, se non che per ornamento della bellezza della faccia in quello loco da natura è stato produtto. Adunque concludiamo che l’occhio è membro di maggior eccellentia, attento che son due porte della vista, qual è lo aprire & lo serrare per lor volontà ponno disponere & in lor difensione la natura, maestra di tutte le cose, due perpetuale ha per create; & lo philosopho dice, come noi in un altro Capitolo havemo referito, che l’occhio è instrumento de l’anima sensitiva e la mente vede mediante l’occhio; & imperò quanto più è eccellente il membro, tanto è più quanto che per la sua percussione causa maggior dolore: per questo ha maggiore honore quello che privò, che non a quello a chi fu l’occhio privato; ma se potria incontrare che quello il quale perdette il naso, per unico membro nella faccia, è più necessario al corpo humano & più dannosa la perdita di quello, attento che per esser solo ornamento, essendone la faccia sguarnita, in niun modo si può rimediare; & havendo perduto un occhio, restasse l’altro, totalmente non è privato della luce, anzi se fortifica la virtù visiva & quello che era in dui in uno naturalmente se riduce, di modo che viene a veder così con uno restando come con li dui; & questo è per ragione che la virtù visiva è divisibile, quantunque si possa diminuire, non se può partire; & questo dice Baldo, che l’huomo che ha un occhio da niuno esercitio per desutile si può movere; & leggesi di Annibale Cartaginese, il quale per violenza del freddo perdendo un occhio all’alpe di Bologna, facendo pur grandissimi fatti contra Romani, s’adoperò sì che da molte vittoria nel mondo è rimaso famosissimo; e l’Evangelio dice: “meglio è andar con un occhio in paradiso che con dui ne l’inferno esser dannato”; nè s’acquista però estrema miseria per haver un occhio, perchè vuole la legge che non si possa amovere di alcuna aministratione de officio quello che havesse un occhio, come huomo imperfetto; & per questo se dinota che a perdere il naso è maggior vituperio, perchè essendo la faccia humana assimigliata al volto divino, totalmente per la perdita del naso resta molto disturbata, perdendo la ornata bellezza, a la quale non è alcuno rimedio, nè potria per coprimento celare tale deformità del naso tagliato, onde mostrando in presentia di tutti tanto disornamento; come è maggior pena a colui che ha una mano e la perde, come dice Baldo, così è maggior pena & incarico per essempio uno che perde il naso, come quello che gli muore uno suo figliuolo ha maggior dolore di quello c’havendone dui gliene muore solo uno, però non è si grande pena; & secondo la opinione de gli huomini non si può far maggior improperio & ingiuria all’huomo che privarlo del naso, per il quale è maggiore offesa che se d’una mano o d’un piè o d’un occhio lo privasse, perchè è più manifesta cosa, cioè vergogna; & per questo per una gran pena se suole uno delinquente alla privatione del naso condannare, acciocchè porta per eternale pena su la faccia di continuo la sua vergognosa punitione, la quale in nessun modo si può coprire; & dice Federico nella sua Costitutione che la pena della privatione del naso è punitione atroce & severissima, attento che è derisione della gente; & questa tal punitione se costuma dare alle donne che adulterano il matrimonio coniugale, manifestata in gravissimo delitto; & per questo crederia che ha maggior honore quello a cui è restato il naso, perdendo l’occhio, che quello in quale con dui occhi & senza naso si ritroverà; però quando simile caso accadesse potrà il giudice secondo il suo vedere giudicare, ma la mia sentenza mi pare esser giusta per le altre circonstantie, chè possono mille ferite intervenire.
  
 
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| '''Cap. 254. Sì come è il rustico requisitore, se può dare simile Campione.'''
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| '''Cap. 267. Di uno che fosse stato dipinto, se con ragione si può refutare di combattere.'''
Vuole ancora la legge fatta per Federico Imperatore che l’armigero Cavalliero, ricercato a combattere per differentia da uno come rustico, il possa rifiutare et quello, il quale vorrà richiedere alla battaglia personale un nobile Cavalliero debbe esser simile del richiesto in conditione; & però in questo caso si debbi dare il Campione simile del rustico requisitore & quando il nobile richiedesse il rustico, debbe con la sua persona combattere, però in caso che fusse il requisitore nobile impedito, può dare il Campione simile al richiesto; per la consuetudine di tale battaglia, ricerca che le persone siano uguale di conditione, eccetto in delitto di infideltà, nel quale il rustico può richiedere il suo Signore a combattere da persona a persona, sì come meglio appresso vederemo; & Andrea d’Isernia & M. Baldo dicono che habitando un nobile di continuo in villa non sarà per questo rustico, per rispetto che il luogo rusticano non può togliere la nobiltà a chi naturalmente la possiede, sì come vederemo.
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Uno che sia stato dipinto risponde e dice, se bene è stato dipinto & che lui sia mancato a quel che paresse essere tenuto, questo è stato sol per non combattere il torto e non per viltà; ma questo è stato sol per ricognoscere Iddio summa verità favoreggiante de la giustitia, come chiaramente è noto, ma al presente conosce haver ragione, la quale gli ha data il suo adversario & intende restaurare l’honor suo et far fama; et quando fusse stato per chiaro giudicio di refutarlo, non sta bene sotto tal colore di darli causa di combattere; responderemo per lo adversario e diremo che la causa procede da la forma et che una causa causa l’altra, però non accetta esser stato lo principio, ma è stato meggio et ch’el fine se relassa; perchè non si conviene lo Agnello col Lupo, nè il Lepro con l’Orso, nè il Coniglio col Leone et non il magnanimo con il codardo, nè manco possi fare d’una cosa morta una viva et darli vita, nè manco possi fare che una donna meretrice sia vergine, sì ch’el buon trionfo canta, esclamma genti di ferro e di valore armata e che l’ha poco l’uno e manco l’altro. Concludendo dico non può provare e non convien che de militia splende mal consueto; e questo vivere è bene attendere et in quello riposarsi.
  
 
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| '''Cap. 255. Quando dui armigeri si fusseno disfidati a una certa giornata, se uno di loro innanzi la deputata giornata combattesse a tutta oltranza con uno altro & fusse da quello vinto & disdetto, se potrà essere refudato nel dì de la battaglia deputata.'''
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| '''Cap. 268. Del contrasto delli armigeri contra li letterati.'''
Si domanda ancora da uno, de dui che hanno per differentia loro equalmente da combattere a tal giornata con patto e conventione fra loro fermati & prima che in quella siano pervenuti è ‘l requisitore da un altro armigero in simile battaglia superato & vinto & disdetto, perchè haveria da esser giustamente d’ogni armigero e cavalliere rifiutato come infame, periuro, calunnioso, overo che commettesse alcuno delitto o tradimento per il qual levasse fama de mal armigero, de non essere admesso nel combattere con un altro honesto & virtuoso Cavaliero o armigero; se responde che havendo mutata la sua conditione de bona in mala fama, può esser dal suo nimico recusato nel combattere con lui, per esser stato di mala conditione, chè se al presente volesse un altro richiedere ad equalità de battaglia non potria, per la indispositione trista & falsa, nel quale è cascato per mancamento de delitto, commesso dopo la conventione fatta del combattere in tal giornata: se intende, se lo requisitore durante il termine del tempo non cada in infamia di tristitia, ma che se conservi nel stato nel qual si ritrovava quando accettò la disfida e fece la conventione. Onde finalmente se determina che giustamente se potrà ricusare un armigero nella giornata della battaglia, quando dapoi la disfida, accettato per segno de combattere, serà peggiorato de sua conditione & fama & potrà esser dal richiesto rifiutato, sì come di sopra è ditto; & simile diffinitione si fa dal requisitore quando el richiesto fusse di suo buon stato, dapoi la scomessa mutato in malo, chè non saria tenuto con lui combattere per la nuova vergogna acquistata.
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Quivi responderemo contra li letterati: dico che li armigeri sono espurgatori de’ peccati, destrugitori de lor superbie, reveditori de lor persuasioni & lor idolare; & tal vitij di crudeltà non regnano da’ virili magnanimi, solum contra inimici, la qual legge Imperiale non vieta ch’el nimico se dannifica in qualsivoglia modo; in quanto al vero, la necessità non ha legge in alcun tempo & quando non si esercita il mestiero se vive honoratamente con i suoi quartieri o paghe e denari de’ grandi, standosi a piacere li veneno & fanno buona ciera, viveno nobili, perchè sono denari de nobili & non son tenuti se non da servire nobili; ma i letterati viveno di denari de mendichi & poveri & quelli sono obligati servire a forza, che quando le litigatione non vi fussero morirebbero di fame: oh quante cose sarebbe da dire più oltra, ma l’honestà stringeme a tacere!
  
 
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| '''Cap. 256. De sette casi, nelli quali è licito dare campione nello combattere.'''
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| '''Cap. 269. Di quanti modi si può mentire.'''
Il combattere che se fa per oltranza per differentia si deve far per li principali disfidati, riservando in sette casi, nelli quali è permesso dare Campione: el primo caso è quando lo requisitore o richiesto non fusse pervenuto in età de dieciotto anni; secondo la Lombarda e la constitutione debbe esser de etate meno che di venticinque anni, & così ancora el Campione debbe esser maggiore de quella etade. El secondo caso quando uno di loro fusse de età decrepita, overo inferma. El terzo quando el servo prendesse libertade contra el suo patrone, dicendo esser libero & volere di ciò combattere: el suo Signore li potia dare egual Campione. El quarto è quando fusse persona ecclesiastica, overo donna vedova, o quando fusse uno Conte provocato o provocante con uno da meno che de sua conditione; l’altro è quando una donna fusse accusata de adulterio & volesse difendere per arme esser falsamente accusata, nel qual caso debbe dare il suo marito, overo el mundualdo per Campione; & secondo la Constitutione ogni impedito da impedimento personale potrà dare el Campione, ancora che havesse degnità o nobilità: essendo da un rustico provocato potrà dare el Campione, sì come è ditto di sopra, secondo la Constitutione e legge Longobarda, per la quale è indutto che un servo accusato di furto potrà dare il patrone per Campione, però si debbe observare secondo la consuetudine de la provincia, over Città ne la quale accaderanno li casi di darsi o non darsi li Campioni, secondo l’arbitrio del iudice; ma secondo la decretale, li clerici non ponno nè personalmente nè per Campione combattere, benchè fusse loro permesso per antiqua consuetudine, quale è stata tolta per lo Decreto.
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Diremo che uno honesto mentire si può dire «tu ti parti dalla verità» o vuoi dire «tu non dici il vero»; ancora ne l’altro mentire, dicendo «tu ti menti per la gola», ma questo è più vituperoso che altro; e gli è ancora uno altro mentire che dice «tu ti menti per la gola come un tristo»; un altro mentire si può dire «tu ti menti per la gola come un tristo che tu sei»: uno è ifferente dall’altro; poniamo caso ch’uno dicesse «tu menti per la gola come un tristo», non s’intende però ch’el sia tristo, ma che l’habbi mentito come si fa ad un tristo & lui non debbe combattere sopra la querela ch’el sia tristo; ma se egli dicesse «tu menti per la gola come un tristo che sei», combattasi sopra la querela “che tu sei” et questo è caso honesto, non vi essendo tristo.
  
 
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| '''Cap. 257. Come li Campioni debbeno essere simili.'''
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| '''Cap. 270. De dui combattenti ridutti in campo per combattere & il disfidato appresenta arme da diffesa senza prima haversi dato notitia, vederemo s’el può fare, sì o no.'''
E’ da sapere ancora che quando la battaglia personale si fa per Campioni, si debbeno elegger per lo iudice eguali di fortezza, perchè se solo trovasse uno fortissimo armigero per suo Campione, tale che nella sua provincia non si trovasse simile a quello di forza, alhora si doveriano distribuire li Campioni di una egualità, secondo la Constitutione predetta & la legge Longobarda; però questo non si osserva di consuetudine, ma si debbe notare che li Campioni debbono esser di età maggiore di venticinque anni.
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Movesi il dubio che essendo codotto per combattere sul campo et lo disfidato appresenta l’arme d’offendere come conviensi et ancora le arme da diffendere, come sono corsaletti, corazze, corazzine, over celatoni, elmetti, mezzatesta, bracciali o guanti, arnesi, schinieri, con dire che lo desfidato può dare le arme che a lui piace, sì da diffendere come da offendere, come si costuma, si osserva, si risponde al disfidatore che gli è consueto a fare intendere che avanti la giornata di molti giorni si debba provedere d’arme necessarie da diffesa, attento che l’arme non sono eguali, nè anco li corpi, nè mani, nè gambe, capi e braccia, & ciò sarebbe da dubitare ch’al disfidato se li haverebbe potuto far fare per la persona sua tra ambedue; & questo postponemo che l’un sia di poca statura e l’altro grosso e grande di membri: non conviene che con tanto superchio d’avantaggio gli levi la vita et l’honore, ma quando lo disfidatore vede li detti pezzi d’arme da diffendere le può con giusta ragione refiutare.
  
 
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| '''Cap. 258. Come persone infami non si posson dare per Campioni.
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| '''Cap. 271. De dui combattenti, & quello il quale ha da eleggere l’armi & per lettere fa noto a l’avversario “di tali e tal arme tu ti preparerai” et non gli essendo altra reserva di mancare & aggiungere, se si può mutare d’altre arme di quelle, overo no.'''
Ancora è da notare che li Campioni non debbano esser persone infami, perchè son simili alli dottori giuristi che sono advocati nelle cause Civili che diffendeno: in caso che uno fosse ladro manifesto non potria esser Campione, nè huomini di mala conditione, i quali verisimilmente sempre in battaglia sariano perditori, più per cagione de’ lor delitti che per difetto di mala querela del Signore, ad istanza del quale combattessero. Ancora, quello c’havesse commesso delitto, per il quale non potesse nella presenza del suo Principe comparere, non potria esser Campione; ancora huomini che per danari havessero commesso homicidio, come sono assassini, ruffiani publici & altra simile generatione di vilissimi beccarini, nè uno apostata, cioè religioso fuggito dal suo monasterio; & questo si trova secondo la Lombarda & Civile & secondo Andrea di Isernia, eccetto se pugnassero con persone infame simile di loro, perchè allhora da nessuno si potria il combatter rifiutare.
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Questo dubbio è da vedere, che lo disfidato haverà dato aviso al disfidatore che lui si habbia a preparare per il dì de la giornata di tale & tali arme & non sarà altra riserva di crescere & sminuire; & quando seranno sul campo gli appresenterà altre sorti di arme, dicendo che a lui sta a far la elettione dell’arme et sono in luoco da eleggere & d’adoperarle & darli quelle le quali a lui piacerà; se risponde per lo richieditore che non se conviene ad una cosa ch’è ditta o fatta, & massime a magnanimi Cavallieri, et ancora non sta bene esser lecito di dare & torre & dire una cosa & poi farne un’altra & non è ancora il dovere che uno possa ligare, disciogliere et fare quello ch’a lui piace in pregiudicio della parte, tanto più che in questo mestiero della militia appigliasi et attaccasi ad ogni picciol ramo; & quando l’huomo reggesi male spesse volte accade & sforzatamente conviensi tollerare, sì che è licito lassar li primi termini, combattere nove cause. Così ancora si può con ragione attaccarsi & quelle cose che son dette di prima, senza riservare di giongere & mancare gran privilegio; & gratia haverà l’huomo che ciascuna cosa malfatta che la non fesse, over resolverà senza pregiudicio; ma per non potere bisogna che lui stesso si doglia.
  
 
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| '''Cap. 259. Quando nel combattere di oltranza o in altra si faranno ferite corporali nelle membra humane, chi haverà maggior honore & laude.'''
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| '''Cap. 272. De dui che vennero a parole & uno dice cornuto a l’altro & l’altro dice a lui traditore, gli è da vedere quale è maggiore ingiuria.'''
Occorre dubitatione nelli casi che succedeno nelli membri humani nel combattere, se uno perderà pugnando un occhio e l’altro li denti, chi di tali serà più vituperato: si dice che colui che perderà l’occhio, per esser membro più propinquo all’anima, serà più incaricato di quello che perde li denti, sì ancora che l’occhio comprende tutti li sensi del corpo et è membro & li denti sono stromenti della bocca; se uno serà ferito in faccia haverà più disonore che se nel petto fosse ferito, sul capo o nelle braccie, overo nelle spalle, perchè dice la legge che la faccia de l’huomo è a similitudine di Dio & per questo non si può bollare per giustitia un huomo in faccia, per non maculare la figura, simile alla divina. Et quando l’occhio destro si perdesse nella battaglia seria più incarico di quello che perdesse il sinistro, attento che ‘l dritto è in opinione de gli huomini, così diremo della mano: quello il quale ne fosse privato nella battaglia, seria più incarico perdere la destra che la sinistra, perchè la mano destra opera più in battaglia; similmente, essendo uno percosso al braccio et l’altro alla gamba, qual è manco dignità del braccio; & resta più incarico accadendo che uno Cavalliero havesse dui occhi et l’altro contra lui combattesse ne havesse uno, seria più incarico a quello che n’havesse uno perdendolo, che a quello delli due ne perdesse uno; et se uno perdesse la mano tutta intiera seria più incarico che a quello che perdesse un occhio; & posto che l’uno perdesse il piede e l’altro la mano, seria più incarico di quello che ‘l piede perdesse, che quello della mano in battaglia.
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Sono alcuni che dicono che a dire cornuto a un altro è maggior incarico, attento che gli è una cosa ch’el se ne fa gran stima più che tesoro e vita & perchè la stima è cosa riservata sol per lui & è cosa che non conviene, nè a padre, nè a figliolo, nè amico, nè a parente, nè a persona che al mondo sia; & quello che tal precio non ha in stima si può dire cosa non accostabile alla natura & non è degno de vita, perchè non è sol la sua vergogna, ma di parenti de l’una parte e de l’altra & sono offesi; & quelli tali huomini che lassano annichilire tanto honore & tacciono e che tale ingiuria in petto portino sono d’arme non degni; a questo proposito, pigliando esempio da gli animali senza ragione, che per tal caso a morte se condicono; se risponde per l’altra parte che uno traditore non solo offende a sè & a parenti, ma destruge & annichila honore de patria & massime dandola in preda alli nimici, perchè si va l’honor commune di donne & perditione d’anime, considerando il caso de’ tradimenti è iudicato e sigillato vitio et horribile errore; a tal che questa de’ tradimenti detta, ogni altra infamia avanzia.
  
 
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| '''Cap. 260. Delli Campioni quali si danno nella battaglia per Cavalieri, che di ragione posson dare Campioni.'''
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| '''Cap. 273. Dove si può iustamente dipingere uno che mancassi al combattere, & con suo honore.'''
Discrivesi generalmente quando si vuol combattere differentia alcuna, o per altra giusta cagione da persona a persona, a ciascheduno è necessario diffendere la vita sua con il ferro, seguitando la dottrina del poeta Sallustio, quale in Catilinario, persona di Catilina Romano, giovane gagliardo, parlando alli suoi commilitoni, diceva: «fratelli miei carissimi, la spada è solo la vita nostra et per quella bisogna esser aperta la strada, perciò siate gagliardi»; et per questo ogni requisitore, over richiesto debbe combattere con la propria persona, riservando quando la dignità del suo honore non lo ricercasse; essendo la richiesta di huomo di minor conditione del provocato più degno, allhora si potrà dare un campione simile et eguale al stato del requisitore, qual per lui combattesse: et questo si trova secondo la legge Lombarda & la ragione Civile & per la constitutione di Federico Imperatore, che ricerca egualità nella battaglia; però vuole lo inferiore di conditione non debbe nel combattere provocare il suo superiore, riservando quando combattere volesse il vassallo con il suo Signore haver commessa contra del suo honore: in tal caso non potria il suo Signore dare il Campione, ma debbe personalmente con il vassallo combattere, ma con la propria persona & nelli sette casi è permesso dare il Campione, sì come appresso vederemo.
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Essendo adunque uno recercato al combattere di alcune querele & fra tanto tempo s’habbia da dare risposta, e mancando al detto tempo non per la prima lettera & ne anco per la seconda non preiudica, attento che lo potria fare malitiosamente per far variare dei termini lo disfidatore; ma s’alla terza littera non risponde al termine iusto di qualche mese, acciò habbi tempo di consigliarsi, non gli è scusa alcuna, vero è che da la tertia & ultima lettera debbe determinare il tempo di sei mesi; & venuto li ditti sei mesi se non risponde, resolutamente se può depingere mancatore del suo honore e non iusto, che per torto c’habbi lui che la parte non habbi el modo revedere la ingiuria fatta: per questo la legge Imperatoria statuisce li detti sei mesi & per consuetudine convien c’habbia luoco, chè altramente l’offenditore potria dilatare mille anni a l’offeso; e questo è fatto per chi non havesse animo combattere al torto e che habbi a pensare in che modo si offende le persone & antivedere al caso succedente.
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! <p>{{rating|c}}<br/>by [[Michael Chidester]]</p>
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! <p>[[De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo)|First Edition]] [Latin] (1476){{edit index|De duello, vel De re militari in singulari certamine (Paride del Pozzo) 1476.pdf}}<br/>Transcribed by [[Kendra Brown]]</p>
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! <p>First Edition [Italian] (1476)<br/>Transcribed by [[Michael Chidester]]</p>
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! <p>Marozzo's Version (1536)<br/></p>
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! <p>Spanish Translation (1544){{edit index|Libro llamado batalla de dos (Paride del Pozzo) 1544.pdf}}<br/>Transcribed by [[Michael Chidester]]</p>
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! <p>English Translation (1580){{edit index|Questions of Honor and Arms (MS V.b.104)}}<br/>Transcribed by [[David Kite]]</p>
  
 
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| '''Cap. 261. Delli Campioni che perdessero in battaglia o che combattessero con fraude.'''
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Quando uno Conte, Duca, Principe o quale si voglia altro Signore che desse uno Campione, in caso che fosse in battaglia superato, si può dire lui esser superato dal vincitore del suo Campione, riservandosi fraudolentemente il Campione se havesse fatto superare & vincere per fraudare l’honore del suo Signore: non havendo fatto il debito nel combattere sarà punito il Campione; ma se ‘l Campione senza fraude si ricredesse, overo confessasse il delitto, in questo l’Imperatore fe’ Constitutione che saria vinto & confesso il suo Signore che lo desse; & secondo la Lombarda non si può dar Campione, eccetto in caso di impedimento et quando sarà promessa la battaglia, el dare del Campione, et per privilegio della dignità, & quando il provocatore fosse inferiore del richiesto; et perchè dice che ‘l Campione debbe essere eguale dell’armigero o Cavalliero & da chi è dato per combattere, chè altramente si potrà per giustitia ricusare, & vederemo appresso.
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| '''Cap. 262. Come li Campioni debbon giurare nell’intrare della lizza, secondo la lor credenza, combatter con giustitia & di fare il dovere.'''
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Ciascheduno armigero Cavalliero debbe sapere come debbono li Campioni, nell’intrare della lizza, giurare che, secondo la loro credenza, li patroni della querella, per li quali deliberassero combattere ad una giusta occasione et di non accusare l’un l’altro per fraude, nè per malitia, et che con ogni virtù, possanza, diffenderanno ciascaduno l’honore del suo Signore; giurano ancora li Campioni non habbino intelligenza fra lor dell’uno non offendere l’altro & di far tutto il dovere con tutta la lor virilità, si sforzeranno menar le mani per esser l’uno dell’altro vincitore, senza fraude di fingimento alcuno; & questo descrive l’Imperatore Federico, il qual ancora M. Baldo da Perugia riferisce.
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| '''Cap. 263. Come non è licito corrompere il Campione.'''
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Nella constitutione di Federico si descrive che se ‘l Campione fosse dal nimico corrotto per farsi vincere, benchè sia licito nella battaglia di tutta oltranza con ogni fraude superare l’avversario, non seria però in tal caso vincitore, perchè non merita vittoria secondo la legge civile chi vince con corrottione di premio alcuno, perchè tal battaglia fu inventa & trovata per giudicar la verità in forza d’arme, chè il contrario suo è il corrompere per dinari, sì come colui che vince la sentenza corrompendo il giudice & li testimoni, non è legittimo vincitore; quantunque in battaglia di tutta oltranza sia lecito usare ogni astuzia & fraude per vincere, non però è permesso di usare falsità di corompere il campione, chè non faccia il dovere in giudicio di battaglia, perciocchè la vittoria che se ottenesse saria turpissima, perchè gli antichi Imperatori li virtuosi pugnatori coronavano et dinegavano a quelli che procurano la vittoria, coronando gli avversarij, per conseguire l’honore del trionfo, benchè sia licito più, come più volte è ditto di sopra, in battaglia di tutta oltranza per togliere la potenza del nimico usare ogni fraude, per salvatione della vita: se intende con propria astutia di virtù di battaglia, con la estremità della sua persona, che quelli che con fraude et inganni senza gagliardia et valorsità restano vincitori, benchè superasseno potenti cavallieri; sicchè quello che corrompe il campione non merita l’honore della battaglia & non può dire esser stato vincitore con arme, nè con spada, ma solo per corrottione, la quale è molto da’ valorosi Cavallieri condannata, perchè è specie di gravissimi tradimenti; & da doversi la vittoria dinegare, dove si debbe per virtù d’arme acquistare e superare il nemico per trovare la verità, onde uno filosofo dice che dove intraviene corrottione di danari o altro non può esser cosa laudabile, nè virtuosa; in questo giudicio d’arme, dove non è permesso corrottione alcuna si debbe vincere con la spada & con la propria virtù dell’animo, et per questo non si darà lo honore a quello che vince corrompendo il campione, perciocchè la corrottione è simile del delitto, che merita gravissima pena & per questo non si dà premio nè honore a colui che con mente giusta merita esser punito.
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| '''Cap. 264. Se uno è infamiato di tradimento & vinto alla battaglia & non si vuol disdire, s’è tenuto per traditore.'''
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Seguita una dubbiosa questione disditta, di uno che venisse a differenza del combattere con un altro per causa che lo havesse tradito et ingiuriato, il quale gli offerse farlo in battaglia disdire o confessare non essere il vero, che fosse traditore, et pervenendo alle mani dello requisitore, havendolo in terra abbattuto, tutte le sue forze adoperò per farlo disdire, perchè lo richiesto abbattuto diceva che non si voleva mai disdire, in modo che prima fu ammazzato, che volesse disdire. Onde il vivo dimandò al giudice che dovesse dar la sentenza in suo favore, perchè havea occiso il suo richiesto avversario, che havea promesso farlo disdire; il perchè si dubitava per certe ragioni in favore del morto si producevano, che ‘l vivo non solamente non era vincitore, ma senza arme esser vinciuto, per cagione che promesse et s’offerse farlo disdire, la qual cosa non havendo fatto non havea satisfatto alla promessa, nè quella attese, anzi il morto, per non disdirsi, virilmente ha promesso prima farsi occidere, che l’honore suo maculare per disdetta; per il che doveria lui havere l’honore, per havere la sua promessa riservata & farsi uccidere & perchè il nimico ha mancato di ciò che promise è stato vinto & l’altro ha resistito alle sue forze, nè s’è disdetto infin che vivo si ritrovò & si può dire che la morte pose fine nel suo disdire et dassi monitione più presto morto che disditto. All’opposto si allega per parte del vivo, il quale havendo ammazzato il nimico può dire havere fatto più che non offerse, perchè morto combattendo è una disdetta & sono simile effetto, per questo il detto morto si può dire esser disdetto, perchè dimostra per la morte haver ingiustamente combattuto & perduta la vita insieme con la battaglia & questo venne ad esser più che disdetto; et così il giudice intendendo la causa decise essere il vero tacitamente: ogni morte in sustanza è disdetta, per conseguente è morto del vivo, perchè offusca & deturpa la fama del disdetto et così ancora quando si combatte ad oltranza la fine è morte o disdetta, et son però assimiglianti; ma tornando al caso, quello che offerse espressamente con la sua bocca farlo disdire, colui ch’è constretto non si volse disdire, perchè non incorse la morte, non si può dire essere atteso ciò che disdisse espressamente, per questo si doveria dare sententia che ‘l requisitore non ha adempiuto la promessa & il morto morì con honore, non volendosi disdire, ma non si potria giustamente giudicare il vivo esser perditore, havendo ucciso lo nimico, per che la morte in battaglia darli grande honore; nè anco si potria giudicare il morto esser vincitore, quantunque habbia ricevuto il martirio della morte per non disdire, benchè gli sia più honore quanto alla gloria militare, come faceano li Romani antichi & molti altri cavalieri moderni volsero più tosto morire con honore che con vergogna vivere; però sono pochi de’ cavalieri che tal prova fatta hanno; & disse M. Baldo gran dolcezza è nel vivere, tal che molti scusano con la forza et terrore dell’armi haversi disdetto, ma la lor scusa a buoni cavallieri d’arme non è honorata; li cavalieri antichi giuravano non vietare la morte per la Republica, nè credere, si potria, dare altra sententia, come è predetto, che ‘l giudice dichiarasse che ‘l procuratore non abbia adimpita sua promessa, et dare laude al morto, che con honore morir volesse per non disdire; nè però si doveria il morto pronunciare vincitore, perchè dove è la morte non si può far giudicio di vittoria, nè il vivo esser perditore, havendo data la morte al suo nimico; ma in caso che ‘l requisitore havesse detto voler provare il contrario et mostrarli c’havea detto falsamente, ammazzandolo, meritamente doveria la vittoria riportarne, over quando havesse detto «ti farò disdire» & combattendo l’havesse ucciso, non havendoli richiesto nella battaglia che si dovesse disdire & il morto non havesse detto «io non mi voglio disdire»: allhora s’havesse ucciso senza resistenza seria come disdetto; et ciò scrivo riservando sempre il giudicio de i Principi d’armi & d’altri cavalieri, che con miglior ragione si movessero in dar più retta sentenza.
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| '''Cap. 234. Se ‘l vincitore accetterà il superato per suo prigione & dopo rilasciato con promissione di ritornare, & non volendo, se potrà per il Signore esser costretto di ritornare.'''
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Seguita una antica questione, d’uno che fosse preso in campale, overo in particolare battaglia & fosse dal suo superatore a fede relasciato, se per giustitia potrà esser dal suo Signore costretto del ritornare & se tenuto sarà ad osservare la promessa. Baldo dice che all’huomo nimico della Republica non si debbe nè fede, nè promissione osservare, sì come vuole ancora il Decretale: resta però in suo arbitrio il ritornare, sì come dice d’uno che fosse per la vita incarcerato, contra giustitia ritenuto & alla fede relasciato, non è tenuto alle carcere ritornare; ma quando fosse giustamente detenuto, saria tenuto ritornare, essendo sotto la fede rilasciato & peccaria fuggendo tale carcere de’ nimici quando fosse preso in licita battaglia, sì come colui che fosse per giustitia a morte condannato, rompendo le carcere della Republica peccaria; ma quando fusse preso d’altrui di strata et di genti d’arme che andassino incorrette contra l’usanza di guerra giusta o publica, color che fossino da tali presi non sariano tenuti a loro richiesta ritornar per pagare la taglia, quando fosse guerra nelle città, ma essendo licita sariano giustamente presi et tenuti di ritornare, come vuole Bartolo et Innocentio; et in caso che fosse dubbio se la guerra fosse licita o illicita, è tenuto per fede ritornare, ma quando chiaramente conoscesse che ingiustamente fosse preso, benchè facesse giuramento di ritornare, non saria tenuto ad observarlo. Et Baldo dice che se uno Cavalliero promettessi d’andare ad un certo luoco in termine d’un mese et fosse per il cammino da uno Barone per comandamento sotto pena impedito, che non si dovesse da lui partire, restando per tale impedimento, non è giusta la causa, attento che deve fuggire per non esser giustamente ritenuto, salvo s’havesse giurato di non ritornare; onde conchiudendo dico per giustitia civile si deve osservar ciò che di sopra è ditto; però li armigeri cavallieri vogliono che senza distintione in guerra giusta o ingiusta si deve totalmente osservare, così ancora coloro che fossero presi in duello celebrato dinanzi al giudice competente, essendo alla fede liberati, la deveno osservare, salvo se dall’Imperatore fossero impediti, com’è ditto; et habbiamo ancora ditto di M. Regulo Romano, che, certo della felice morte, ritornar volse per la promessa fede non mancare, riputandosi per gloria vivere, essendo perciò estinto & cruciato.
  
 
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| '''Cap. 265. Qual è maggior dishonore, o fuggire o disdire con la propria bocca.'''
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| '''Cap. 235. Se uno superato, per prigione accettato & alla fede relasciato, se potrà riscoter la fede per danari o premio.'''
Circa la disdetta mi occorre un’altra dubitatione, qual seria più dishonore disdire uno armigero con la propria bocca, over dal campo codardamente fuggire: benchè sia di sopra narrato che ogni fuga è disdetta, quantunque parte siano simile, pure si differisce, perchè la fuga procede da maggior viltà che non è la disdetta, considerando che lui stesso per propria miseria si condanna & promette senza arme farsi superare, perchè debbe ogni sua forza prepararsi, quando gli fosse possibile mostrare la sua virtù per non fuggire, come interviene a quello ch’è in potenza dell’avversario & per forza d’arme si disdice col tormento delle ferite ricevute animosamente, quando che egli fa il possibile di resistenza, per volere la fama dell’honor suo diffendere; onde se le sue ultime forze non basteranno a vincere, facendo disdetta per non morire è meno dishonore, perchè la forza dà alcun colore di giusta escusatione & pare che sia cosa che proceda contra la propria volontà, che per forza fa disdetta; et pertanto il fuggire è maggiore incarico che per forza d’arme disdire, perchè lo perdere con honore non vitupera tanto il perditore, quanto che a perdere con viltà & con incarico di fuga & sempre si debbe tentare la fortuna per la vittoria, non si debbe senza resistenza dare l’honore all’avversario, perchè non è maggiore ingiuria del fuggire dinnanzi ad uno, dove non si conosce avantaggio, nè maggior riputatione s’acquista che seguire il tuo nimico che per paura ti fuggisse.
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Uno che combattendo fosse a tutto transito preso & per benignità del vincitore fosse liberato sotto fede di ritornare ad ogni sua richiesta, volendosi liberare per danari della obligatione della fede, si dimanda il giudice se giustamente può ricercare il suo vincitore: secondo la legge Civile si termina che sì, per togliere la molestia & per il periglio & per la spesa fatta per il vincitore & prepararsi al combattere, conducendosi da parte lontana per cagione del ditto combattere, nel quale havendo vittoria & prosontione c’hebbe giustitia. Dice Innocentio che colui ch’ingiustamente muove la guerra è tenuto alla emendatione delli danni & spese contra di cui è stata la guerra & perciò il perditore, qual si presume contra giustitia haver combattuto, si potria riscuoter così come in guerra giusta fosse stato preso; et colui che ‘l riscuotesse per danari dal suo vincitore, giustamente lo potria eleggere & incarcerare & tenerlo per nome di pegno, infino a tanto che da lui havesse il suo denaro, secondo la legge Civile; dice più che in caso che non havesse da pagare il suo riscatto, servendo per spacio di cinque anni saria libero & non saria tenuto a pagare gli alimenti ricevuti, & quando ch’uno fosse prigione per danari è tenuto quello che lo tiene in suo potere a qual si voglia prigione & chi volesse per buon servo riscattare, dargli libertà per quella taglia che per lui fosse fatta, la quale poi ch’una volta fosse stabilita non potria sorgere nello augmentare lo pretio, havendolo pagato non se li potria niente più dimandare; & in caso che non havesse da pagare si può dimandare il suo servitio d’un certo tempo per ristauratione della pagata taglia; però volendo esercitare in sevigi vili, disconvenienti alla conditione del prigioniero, non saria tenuto servirlo & giustamente potria fuggire; ma quando per pietà lo liberasse o, per qualche altra cagione, di non chiederlo, non saria tenuto pagarlo et in caso che havesse in dono uno prigione dal vincitore ricevuto, lo potrabbe riscuotere, come quivi appresso distintamente vederemo.
  
 
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| '''Cap. 266. De dui combattenti, uno cavò un occhio al nimico & l’altro gli tagliò il naso, si dimanda quale haverà più honore de li dui.'''
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| '''Cap. 236. Modo di sapere se uno richiesto, deve ritornare alla data fede, allegando impedimento, se sarà da essere udito.'''
Facendose una battaglia fra dui armigeri, quali havendo fermati i Capitoli chi meglio facesse fosse vincitore & havesse honor della vittoria e quello che peggio facesse restasse perditore & pregione del vittorioso, accade nel combattere che uno a l’altro un occhio li cavò & quello che lo perdette all’altro il naso li tagliò, & finendosi la battaglia, dubitandosi, se domanda quale di lor fusse più honorato vincitore, onde quello che haveva cavato l’occhio al compagno mostrava havere maggior parte nella vittoria honorata, attento che in questo mondo non è altra miseria ch’esser privo della vista, per rispetto che fa restare l’huomo inutile a tutte le cose e per esser l’occhio membro nobilissimo, e per esser collocato in eminente loco, è dignissimo membro per esser posto in testa, quale è il principale & governatore di tutti gli altri membri humani, attento che li guida & conduce, con lo instrumento dello lume, dove a lui pare & piace; & per quello si cognosce & discerne tutte le cose della natura, la imagine del quale allo cervello & al core rapresentano e conservano la memoria delle cose visive e fanno l’huomo combattere & legger come instrumenti necessarij a gli esercitij; ministrano, allegrano il core che in mezo del corpo humano è realato, con la quale per la virtù visiva, allegrandosi con allegrezza; se notifica, il perchè ragione è di vivere lungo tempo, che per essere il naso membro inutile nel capo e vile, per cagione ch’è conduttore delle feccie del cervello et per quello se conducono li puzolenti vapori della testa & per essere lo senso de lo odorato inutile al corpo humano: altra utilità di quello non si sente, se non che per ornamento della bellezza della faccia in quello loco da natura è stato produtto. Adunque concludiamo che l’occhio è membro di maggior eccellentia, attento che son due porte della vista, qual è lo aprire & lo serrare per lor volontà ponno disponere & in lor difensione la natura, maestra di tutte le cose, due perpetuale ha per create; & lo philosopho dice, come noi in un altro Capitolo havemo referito, che l’occhio è instrumento de l’anima sensitiva e la mente vede mediante l’occhio; & imperò quanto più è eccellente il membro, tanto è più quanto che per la sua percussione causa maggior dolore: per questo ha maggiore honore quello che privò, che non a quello a chi fu l’occhio privato; ma se potria incontrare che quello il quale perdette il naso, per unico membro nella faccia, è più necessario al corpo humano & più dannosa la perdita di quello, attento che per esser solo ornamento, essendone la faccia sguarnita, in niun modo si può rimediare; & havendo perduto un occhio, restasse l’altro, totalmente non è privato della luce, anzi se fortifica la virtù visiva & quello che era in dui in uno naturalmente se riduce, di modo che viene a veder così con uno restando come con li dui; & questo è per ragione che la virtù visiva è divisibile, quantunque si possa diminuire, non se può partire; & questo dice Baldo, che l’huomo che ha un occhio da niuno esercitio per desutile si può movere; & leggesi di Annibale Cartaginese, il quale per violenza del freddo perdendo un occhio all’alpe di Bologna, facendo pur grandissimi fatti contra Romani, s’adoperò sì che da molte vittoria nel mondo è rimaso famosissimo; e l’Evangelio dice: “meglio è andar con un occhio in paradiso che con dui ne l’inferno esser dannato”; nè s’acquista però estrema miseria per haver un occhio, perchè vuole la legge che non si possa amovere di alcuna aministratione de officio quello che havesse un occhio, come huomo imperfetto; & per questo se dinota che a perdere il naso è maggior vituperio, perchè essendo la faccia humana assimigliata al volto divino, totalmente per la perdita del naso resta molto disturbata, perdendo la ornata bellezza, a la quale non è alcuno rimedio, nè potria per coprimento celare tale deformità del naso tagliato, onde mostrando in presentia di tutti tanto disornamento; come è maggior pena a colui che ha una mano e la perde, come dice Baldo, così è maggior pena & incarico per essempio uno che perde il naso, come quello che gli muore uno suo figliuolo ha maggior dolore di quello c’havendone dui gliene muore solo uno, però non è si grande pena; & secondo la opinione de gli huomini non si può far maggior improperio & ingiuria all’huomo che privarlo del naso, per il quale è maggiore offesa che se d’una mano o d’un piè o d’un occhio lo privasse, perchè è più manifesta cosa, cioè vergogna; & per questo per una gran pena se suole uno delinquente alla privatione del naso condannare, acciocchè porta per eternale pena su la faccia di continuo la sua vergognosa punitione, la quale in nessun modo si può coprire; & dice Federico nella sua Costitutione che la pena della privatione del naso è punitione atroce & severissima, attento che è derisione della gente; & questa tal punitione se costuma dare alle donne che adulterano il matrimonio coniugale, manifestata in gravissimo delitto; & per questo crederia che ha maggior honore quello a cui è restato il naso, perdendo l’occhio, che quello in quale con dui occhi & senza naso si ritroverà; però quando simile caso accadesse potrà il giudice secondo il suo vedere giudicare, ma la mia sentenza mi pare esser giusta per le altre circonstantie, chè possono mille ferite intervenire.
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Un prigione è liberato in battaglia particolare sotto fede di ritornare ad ogni richiesta del vincitore, del quale essendo richiesto, allegando impedimento, non ubbidì: si dubita se giustamente deve essere escusato. L’Imperatore dicide che s’un soldato sarà richiesto dal suo Capitano che debbi a tal giornata comparire, nella quale s’havesse esercitato la battaglia campale, over per causa d’altro fatto d’arme, non comparendo debbe esser punito, eccetto se mostrasse giusto impedimento, il qual non fosse per lui fraudolentemente procurato, overo che havesse indugiato il partire fin al punto estremo, sopravenendo l’impedimento saria giusto; et se tale prigione fosse impedito per faccende della patria o della sua Republica, o ritrovandosi incarcerato over occupato in guerra del suo Signore, quale giustamente non potria lasciare, o fosse in man delli nimici ritenuto, dalli quali essendo carcerato, saria escusato; o se fosse fermato a tempo per salario in altra guerra, nella quale non havesse fornita la ferma et ancora quando il suo vincitore fosse ribello del Signore commune, o che fosse escomunicato, over sopravenendoci di nuovo capital inimicitia tra ‘l prigione e ‘l vincitore, per la qual cosa dubitasi d’andar per tema della persona, o quando il vincitore fosse con le genti o con il nimico capitale del prigione, o fossero per nuova guerra nimici, non saria tenuto di commettersi in mano del nimico suo vincitore; o quando il cammino non fosse sicuro, over per tempesta non potesse cavalcare, et in simili casi dove apparesse legitima scusa, non finta, giustamente la legge Civile provede, ma cessando quel giusto impedimento ritornare doveria.
  
 
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| '''Cap. 267. Di uno che fosse stato dipinto, se con ragione si può refutare di combattere.'''
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| '''Cap. 237. Se duoi combattendo a tutta oltranza & uno resta per prigione dell’altro, dapoi lo vincitore lo vorria concedere ad un altro per prigione, dimandasi se fare lo potrà.'''
Uno che sia stato dipinto risponde e dice, se bene è stato dipinto & che lui sia mancato a quel che paresse essere tenuto, questo è stato sol per non combattere il torto e non per viltà; ma questo è stato sol per ricognoscere Iddio summa verità favoreggiante de la giustitia, come chiaramente è noto, ma al presente conosce haver ragione, la quale gli ha data il suo adversario & intende restaurare l’honor suo et far fama; et quando fusse stato per chiaro giudicio di refutarlo, non sta bene sotto tal colore di darli causa di combattere; responderemo per lo adversario e diremo che la causa procede da la forma et che una causa causa l’altra, però non accetta esser stato lo principio, ma è stato meggio et ch’el fine se relassa; perchè non si conviene lo Agnello col Lupo, nè il Lepro con l’Orso, nè il Coniglio col Leone et non il magnanimo con il codardo, nè manco possi fare d’una cosa morta una viva et darli vita, nè manco possi fare che una donna meretrice sia vergine, sì ch’el buon trionfo canta, esclamma genti di ferro e di valore armata e che l’ha poco l’uno e manco l’altro. Concludendo dico non può provare e non convien che de militia splende mal consueto; e questo vivere è bene attendere et in quello riposarsi.
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Si dimanda un’altra nuova questione, d’uno c’havesse un altro in battaglia di tutta oltranza superato, se lo potrà ad un altro armigero suo amico per prigione concedere: la legge Civile dice ch’uno vassallo, over huomo obligato non si può senza sua volontà ad altro concedere, che fosse minore o uguale di conditione del Signore a chi fosse soggetto obligato, ma essendo maggiore potrà obligare il suo prigione: ad esso è obligato per contemplatione della sua vittoria, ma non però per fare mercantia di huomini, come dice M. Baldo di sopra allegato, & per stilo d’arme non si potria darsi ad un altro per prigione, perchè nel suo rendere si submette al suo vincitore & alla sua persona & potenza, qual submissione non si intende potersi ad altro estranio concedere, ancora che fosse suo compagno giurato, perchè non possa a terza persona tal submissione, quantunque con fede data fosse fatto per il perditore.
  
 
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| '''Cap. 268. Del contrasto delli armigeri contra li letterati.'''
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| '''Cap. 238. Come quel che morto sarà in duello non muore servo, & se potrà fare testamento & ricever gli sacramenti.'''
Quivi responderemo contra li letterati: dico che li armigeri sono espurgatori de’ peccati, destrugitori de lor superbie, reveditori de lor persuasioni & lor idolare; & tal vitij di crudeltà non regnano da’ virili magnanimi, solum contra inimici, la qual legge Imperiale non vieta ch’el nimico se dannifica in qualsivoglia modo; in quanto al vero, la necessità non ha legge in alcun tempo & quando non si esercita il mestiero se vive honoratamente con i suoi quartieri o paghe e denari de’ grandi, standosi a piacere li veneno & fanno buona ciera, viveno nobili, perchè sono denari de nobili & non son tenuti se non da servire nobili; ma i letterati viveno di denari de mendichi & poveri & quelli sono obligati servire a forza, che quando le litigatione non vi fussero morirebbero di fame: oh quante cose sarebbe da dire più oltra, ma l’honestà stringeme a tacere!
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Movesi un’altra dubitatione d’uno che sarà morto & superato combattendo particolare, se resta servo di pena, vuole la legge ch’uno servo non può far testamento, nè atti civili; dicono li Dottori che non è servo, & primo fu M. Baldo, che colui ch’è vinto in duello non resta servo del suo vincitore, considerando che può fare testamento della lizza innanzi ch’el trapassi, overamente poi che fosse cavato di fuori; ma morendo dentro il campo non si potrà dentro la Chiesa seppellire, per esser morto in dannatione, in peccato mortale, secondo santo Tommaso d’Aquino, perciò fatto lo abbattimento non se gli può dinegare la penitenza per la confessione, essendo indebilitato per le ferite, pentito, si può assolvere. Ma nello intrare nel campo non può ricevere assolutione, intrando a combattere con intentione di peccato mortale, con volontà di commettere homicidio, nè si può communicare, eccetto quello che, pentito, fosse costretto per sua diffensione & della verità, se piglia con necessità mal contento la battaglia, over dal suo Signore a ciò constretto o per la patria necessità per diffendere & non per volontaria offesa. Ma essendo ferito a morte con contritione lo potrebbono pigliare & non altramente, benchè fusseno pentiti: nel principio del combattere non se potria communicare come è ditto di sopra; et essendo uno di loro in terra con il coltello alla gola et non si volesse disdire contra la verità a colui che l’ammazzasse, per causa che non volesse il falso confessare, non serà però morto in peccato mortale, per esser morto per voler la verità conservare.
  
 
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| '''Cap. 269. Di quanti modi si può mentire.'''
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| '''Cap. 239. Se le persone, che se piglia per lo saccomanno, deve esser del suo patrone o d’altrui.'''
Diremo che uno honesto mentire si può dire «tu ti parti dalla verità» o vuoi dire «tu non dici il vero»; ancora ne l’altro mentire, dicendo «tu ti menti per la gola», ma questo è più vituperoso che altro; e gli è ancora uno altro mentire che dice «tu ti menti per la gola come un tristo»; un altro mentire si può dire «tu ti menti per la gola come un tristo che tu sei»: uno è ifferente dall’altro; poniamo caso ch’uno dicesse «tu menti per la gola come un tristo», non s’intende però ch’el sia tristo, ma che l’habbi mentito come si fa ad un tristo & lui non debbe combattere sopra la querela ch’el sia tristo; ma se egli dicesse «tu menti per la gola come un tristo che sei», combattasi sopra la querela “che tu sei” et questo è caso honesto, non vi essendo tristo.
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Havendosi accampati dui eserciti nimici in un piano poco l’uno da l’altro distante, dui conduttieri d’un Principe, cacciandosi fuori di loro eserciti in singular battaglia de tutta oltranza, se è sfidato ciascun con licentia del suo Capitano de lo esercito & essendo uno superato si rende per prigione al Condutiere patron del vincitore, il quale volendo ritenere per suo prigione il suo soldato vincitore, lo ricusava con dire che havendolo lui acquistato con il suo proprio sangue, anchora che fusse renduto al suo patrone, non ha potuto la sua ragione preiudicare, che non sia a lui per pregione obligato: dimandasi de quali sia iustamente il pregione, del patrone o del soldato; M. Baldo dice ch’el prigione che piglia il soldato havendosi con lui condotto in campo per combattere, ancora che se renda al suo patrone, debbe essere del vincitore, attento che per virtù de quello si trova esser preso, e non dal suo patrone, perchè non si debbe attendere alle parole di colui che si rende, quando è per potentia di quello con chi si condusse nel campo superato; ma in caso ch’esso fusse liberato dopo che fusse renduto spontaneamente, per riverentia di quello a chi si rende di parole, sarà prigione di quello a chi è per parole renduto, sì come lo segno lo dimostra, chè ‘l vincitore lassando il suo prigione, quando si rende al suo patrone, mostra che sua intentione sia ch’el prigione sia del suo patrone; ma ritenendolo & menandolo con esso preso, non accettando le parole del rendere al suo patrone, resta in potere del soldato & non del suo patrone. Ma essendo in battaglia universale e non da persona a persona preso, resta prigione del Signore de l’esercito, se a lui se arrendesse. Però lo rimette alla consuetudine militare, dove si può considerare se ‘l vincitore è famiglio, overamente huomo d’arme di quello sotto il qual militava, ma M. Baldo da Perosa fece la distintione che rendendosi al patrone, lo vincitore lo relassarà al patrone iusto pregione. Ma non relassandolo & che lui il menasse preso, saria prigione del famiglio o soldato ch’esso l’ha vinto & superato, et questa è vera dicisione.
  
 
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| '''Cap. 270. De dui combattenti ridutti in campo per combattere & il disfidato appresenta arme da diffesa senza prima haversi dato notitia, vederemo s’el può fare, sì o no.'''
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| '''Cap. 240. Se è licito nel steccato mutare querella.'''
Movesi il dubio che essendo codotto per combattere sul campo et lo disfidato appresenta l’arme d’offendere come conviensi et ancora le arme da diffendere, come sono corsaletti, corazze, corazzine, over celatoni, elmetti, mezzatesta, bracciali o guanti, arnesi, schinieri, con dire che lo desfidato può dare le arme che a lui piace, sì da diffendere come da offendere, come si costuma, si osserva, si risponde al disfidatore che gli è consueto a fare intendere che avanti la giornata di molti giorni si debba provedere d’arme necessarie da diffesa, attento che l’arme non sono eguali, nè anco li corpi, nè mani, nè gambe, capi e braccia, & ciò sarebbe da dubitare ch’al disfidato se li haverebbe potuto far fare per la persona sua tra ambedue; & questo postponemo che l’un sia di poca statura e l’altro grosso e grande di membri: non conviene che con tanto superchio d’avantaggio gli levi la vita et l’honore, ma quando lo disfidatore vede li detti pezzi d’arme da diffendere le può con giusta ragione refiutare.
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Combattendo dui armigeri per causa di honore ad oltranza, delli quali l’uno conoscendo non haver giustitia, allontanandosi sempre s’andava reparando, come quello che conosceva dovere essere perditore, per non haver giustitia & seguitato dal suo nimico per molti luoghi della lizza, vedendo il seguitatore che quello di continuo fuggiva, li disse queste parole: «voltati, traditore, e difenditi!»; per la qual ingiuria voltosse il fuggitivo ingiuriato, disse «io ti rinontio la prima querela, ma di questo nome traditore che hora falsamente m’hai imposto, sopra di questo teco combatterò», e seguendo la battaglia fu di quella al fin vincitore; e ‘l novo ingiuriante può dire che ‘l suo vincitore non poteva mutar querela in suo preiudicio e combatter sopra la seconda. Il che replicava il vincitore con dire la prima querela fornita per sua espressa rinonciatione &, havendo egli vinto, o per la prima o per la seconda li bastava havendolo vinto, attento che Iddio l’havea permesso per favorire la sua giustitia & perciò doveva esser dichiarato dal giudice lui esser vincitore; l’altro ancora replicava che non dovea essere perditore, per havere combattuto a tutta oltranza per causa di honore: essendo renontiata la prima querela iniusta del suo nimico, confessando per tal renontia essere pugnatore spergiuro & ingiusto, si potea ne la seconda nova querela giustamente recusare, come desditto, nè doveva essere accettato più la nova querela nel combattere, mostrandosi per sua propria bocca essere spergiuro & ingiusto, essendo intrato dentro la lizza per combattere con lo nimico a tutta oltranza per causa di honore contra di giustitia: non dovea essere lui perditore, nè ‘l suo nimico se dovea per vincitore declarare, il quale per essere disdetto, si dovea lui declarare per vincitore, il quale lo fece disdire, confessare & renontiare la sua iniusta querela; si domanda che si debbe per giustitia dal giudice dichiarare sopra di ciò. Dico che per vera giustitia, havendo combattuto per causa d’honore, si debbon dichiarare tutti dui esser vincitori, l’uno alla prima e l’altro alla seconda querela, havendo renontiato alla prima quello debba esser perditore & vincendo nella seconda resta in questo vincitore, attento che nella prima per sua confessione si condanna & a la seconda il primo vincitore, per dui rispetti, debbe essere perditore: perchè fu licito allo ingiuriato per la ingiuria ditta nel combattere et perchè lo tradimento non aspetta tempo di vendicarse, per fare presto la vendetta del discarico; secondo, per causa per rispetto che quello che la ingiuria disse accettò per la seconda querela combattere, che non era tenuto accettare, ne la quale trovandosi superato iustamente resta perditore, però lo potea renontiare, perchè di ragione non potea essere astretto in quella giornata più combattere, havendosi per la prima il suo nimico disdetto, potea ben dire, perchè per la seconda essendo ricercato dal suo inimico in un’altra giornata, se ragionevolmente si dovea combattere, che non l’havesse potuto di iustitia per la disdetta recusare, haveria fatto col suo inimico nova battaglia; et per questo son li fideli deputati nella lizza che ascoltano le parole et vedeno li momenti delli combattenti, a tale che lo giudice, informato, discerna iusta sententia & ciò dico riservando del Cavaliero il migliore giudicio; però mi pare vera, giusta et netta iustitia iudicando così come sopra è ditto, sì come per esempio diremo che ricercando mille Ducati ad uno mio debitore, il quale pendente la causa mi dimanda mille pecore, provando io, per confessione del principale debito, iustamente debbo havere mille Ducati, et essendomi provato essere vero debitore delle mille pecore, a me mandate, si debbe dare sententia in favore di tutti dui, perchè l’uno per propria bocca ha confessato il debito & l’altro per testimoni validi gli è stato provato, debbano l’uno all’altro di giustitia satisfare.
  
 
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| '''Cap. 271. De dui combattenti, & quello il quale ha da eleggere l’armi & per lettere fa noto a l’avversario “di tali e tal arme tu ti preparerai” et non gli essendo altra reserva di mancare & aggiungere, se si può mutare d’altre arme di quelle, overo no.'''
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| '''Cap. 241. Di uno che si rende senza disdetta se, finito il combattere, è tenuto disdire.'''
Questo dubbio è da vedere, che lo disfidato haverà dato aviso al disfidatore che lui si habbia a preparare per il dì de la giornata di tale & tali arme & non sarà altra riserva di crescere & sminuire; & quando seranno sul campo gli appresenterà altre sorti di arme, dicendo che a lui sta a far la elettione dell’arme et sono in luoco da eleggere & d’adoperarle & darli quelle le quali a lui piacerà; se risponde per lo richieditore che non se conviene ad una cosa ch’è ditta o fatta, & massime a magnanimi Cavallieri, et ancora non sta bene esser lecito di dare & torre & dire una cosa & poi farne un’altra & non è ancora il dovere che uno possa ligare, disciogliere et fare quello ch’a lui piace in pregiudicio della parte, tanto più che in questo mestiero della militia appigliasi et attaccasi ad ogni picciol ramo; & quando l’huomo reggesi male spesse volte accade & sforzatamente conviensi tollerare, che è licito lassar li primi termini, combattere nove cause. Così ancora si può con ragione attaccarsi & quelle cose che son dette di prima, senza riservare di giongere & mancare gran privilegio; & gratia haverà l’huomo che ciascuna cosa malfatta che la non fesse, over resolverà senza pregiudicio; ma per non potere bisogna che lui stesso si doglia.
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Pugnando lungo tempo dui Cavallieri dentro la lizza per causa di honore & essendo l’uno da l’altro abbattuto per terra, trovandose col nemico sopra, cortello in su la gola, disse che si rendeva per ragione e quello dal quale fu accettato & tolta la offesa tutti dui revengono in piedi, intravenne che de la lizza uscirno e ‘l vincitore disse al suo prigione, perchè se era renduto non bastava, havendo per causa di honore combattuto, ma volea che espressamente se disdicesse in suo honore, sì come havendo per lo honore combattuto, lo combattere ricercava morte e disdetta, quale non era fra loro seguita, al quale il prigione rispondea a lui che lo havea accettato per prigione & erano spartiti, non era tenuto a fare altra disditta; l’altro replicando dicea che essendo suo pregione lo poteva constringere a farlo desdire, perchè la battaglia ad oltranza è di tal natura che per fin che se trovano con l’arme in mano li combattenti non è finita, & ditte queste parole lo minacciava con l’armi che si disdicesse; l’altro dinegava, chè la battagli era con tale patto tra loro finita, di lui esser suo prigione, non altramente. Et il vincitore pertinace diceva che dovesse tornare nel pristino luoco, chè intendeva farlo disdire, l’altro replicava dicendo che volea combattere con lui che cercava cosa ingiusta, attento che non era tenuto ritornare nel luoco dove si rendette, perchè essendo preso, havendosi liberato & submisso di esser suo prigione, l’altro diceva, che sopra quello voleva combattere, non era tenuto andarci; & il vincitor diceva, perchè l’havea gittato una volta in terra & acquistatolo per prigione, non intendeva più riacquistare l’acquistata vittoria & sempre ricercava nel luoco ritornare, con dire che ‘l prigione è tenuto fare quanto lo suo vincitore lo ricerca nelle cose della vittoria & quello gli mostrava la ponta della spada, dicendo a quello: «ecco quella con la quale mi voglio diffendere, se sarai pertinace in volermi costringere a quello che non son tenuto: piglia la tua, s’el vuoi vederemo!»; si dimanda se ‘l prigione è tenuto disdirsi, overo al primo luoco ritornare: per vera sententia si ditermina di no, perchè essendo una volta accettato per prigione, non può il vincitore mutare ciò che una volta li piacque accettare, tanto che togliendoseli di sopra, ponendolo in libertà è seguito lo effetto. Et questo disse M. Angelo da Perosa, quando dui cavallieri Franzesi assicurati per il Signor di Padova insieme combatterono, intravenendoli simil caso, disse che quando un Cavalliero si rende et è accettato dal vincitore è fornita la battaglia et le parti non si posson più pentire, come habbiamo ditto di sopra di quella battaglia. Et più dico havendosi per causa di honore combattuto, dandosi per prigione tacitamente è disditto, come appresso meglio diremo, parlando della disditta più diffusamente.
  
 
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| '''Cap. 272. De dui che vennero a parole & uno dice cornuto a l’altro & l’altro dice a lui traditore, gli è da vedere quale è maggiore ingiuria.'''
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| '''Cap. 242. Se uno Cavalliero superato in battaglia & lasciato alla fede, se poi dinega, se per il provocatore si può riducersi a combattere.'''
Sono alcuni che dicono che a dire cornuto a un altro è maggior incarico, attento che gli è una cosa ch’el se ne fa gran stima più che tesoro e vita & perchè la stima è cosa riservata sol per lui & è cosa che non conviene, a padre, a figliolo, nè amico, nè a parente, nè a persona che al mondo sia; & quello che tal precio non ha in stima si può dire cosa non accostabile alla natura & non è degno de vita, perchè non è sol la sua vergogna, ma di parenti de l’una parte e de l’altra & sono offesi; & quelli tali huomini che lassano annichilire tanto honore & tacciono e che tale ingiuria in petto portino sono d’arme non degni; a questo proposito, pigliando esempio da gli animali senza ragione, che per tal caso a morte se condicono; se risponde per l’altra parte che uno traditore non solo offende a sè & a parenti, ma destruge & annichila honore de patria & massime dandola in preda alli nimici, perchè si va l’honor commune di donne & perditione d’anime, considerando il caso de’ tradimenti è iudicato e sigillato vitio et horribile errore; a tal che questa de’ tradimenti detta, ogni altra infamia avanzia.
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Essendo un armigero da un altro in battaglia preso & liberato in fede, il quale di lì a un certo tempo dinega esser mai superato, si dimanda se ‘l suo vincitore lo potrà altra volta a battaglia provocare per provarli il vero, come da lui è stato vinto: si risponde di sì, perchè dinegando viene a spogliare il vincitore della sua ragione con gran falsità & rompendo la fede data commette delitto d’infideltà; come di sopra è ditto nel secondo libro, dove si tratta de simili casi, si può combattere et per questo si debbono fare gli instromenti publici della vittoria per il notaro e il giudice il quale è tenuto tenerlo et debbe essere rogato delli fatti che succedono nel combattere, acciocchè la parte vittoriosa vadi per tutto con la chiarità del fatto, over con patente del giudice.
  
 
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| '''Cap. 273. Dove si può iustamente dipingere uno che mancassi al combattere, & con suo honore.'''
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| '''Cap. 243. Del fin della battaglia d’oltranza.'''
Essendo adunque uno recercato al combattere di alcune querele & fra tanto tempo s’habbia da dare risposta, e mancando al detto tempo non per la prima lettera & ne anco per la seconda non preiudica, attento che lo potria fare malitiosamente per far variare dei termini lo disfidatore; ma s’alla terza littera non risponde al termine iusto di qualche mese, acciò habbi tempo di consigliarsi, non gli è scusa alcuna, vero è che da la tertia & ultima lettera debbe determinare il tempo di sei mesi; & venuto li ditti sei mesi se non risponde, resolutamente se può depingere mancatore del suo honore e non iusto, che per torto c’habbi lui che la parte non habbi el modo revedere la ingiuria fatta: per questo la legge Imperatoria statuisce li detti sei mesi & per consuetudine convien c’habbia luoco, chè altramente l’offenditore potria dilatare mille anni a l’offeso; e questo è fatto per chi non havesse animo combattere al torto e che habbi a pensare in che modo si offende le persone & antivedere al caso succedente.
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Quivi faccio fine ad ogni singular battaglia d’oltranza, fatta per causa d’honore, & morte o disditta o confessione espressa dell’opposto di quello che a combattere sarà condutto per forza d’arme; & sarà simile al tormento che ne’ malefici si suole per il giudice dare, per trovar nel dubbioso delitto la verità, come è ditto di sopra, & tal disditta si ricerca farsi o per il provocato o per il provocatore che fosse vinto & superato per forza d’arme; e la disditta o confessione deve esser chiara & netta, in modo che non resti dubitatione alcuna nella mente del vincitore, del giudice & del circostante, come che per esempio diremo ch’uno habbi morto il suo compagno, overo c’habbi tradito il suo Signore, il che sarà dinegato essere il vero & volendo l’infamiato per tal cagione combattere, intravenendo la disditta per il provocante o per il provocato, è di necessario disdicendosi il provocato che dica che lui l’ha morto in tal dì, in tal luoco et per tal cagione iniqua; et falsamente disdicendose il provocatore è di bisogno che dica «io t’ho accusato d’homicidio falsamente, perchè non è vero che tu l’habbi morto»; et quando la disditta si facesse per altro fatto, bastaria dire «io l’ho fatto e ditto iniquamente et contra ogni ragione, overo come a perverso huomo, traditamente fuori d’ogni humanità, ho commessa la accusatione perversamente», o che dicesse «io confesso ciò che tu dici diffendendo essere il vero & quello, ch’è diffensato ingiustamente combattendo, è stato falso, perchè mi pento & conosco che non lo dovea fare, nè dire», sì che confessasse con parole che comportassino simile effetto, chè non rimanesse alcuna dubitatione nella mente del vincitore, come è ditto di sopra; & se questo si farà si chiamerà disditta espressa, perchè alle volte si suol fare tacita, quando dicesse «io son vinto & superato», come disse colui nella battaglia di Padoa, della quale di sopra habbiamo fatto mentione, o se dicesse «non più, perchè io son tuo prigione» o «chè io ti prego che non mi debbi ammazzare, perchè voi haveti la ragione», che dicesse «donatimi la vita» o dirà «io mi rendo & non voglio più combattere, fati di me quello che vi pare, io dimando la vita in gratia per misericordia, perch’è in potestà vostra: fallito alle vostre mani mi rimetto per morto»; queste submissioni satisfacendo al vincitore potrà usare humanità di non ammazzarlo, o per clemenza: odendo lo giudice le parole & conoscendo l’honore & la ragione dell’altro, spartendosi saria disditta tacitamente fatta con honore del vincitore; & M. Baldo dice che se dicesse «io mi rimetto nelle mani vostre o al vostro giudicio» o che dicesse «io ho mancamento contra di voi, il che rinontio la battaglia», si debbe usare clemenza per il vincitore, perchè s’intende che come ad huomo humano si rimette. Ma se dicesse «io mi rimetto nelle tue mani com’huomo morto», lo potria occidere, come ho già ditto. Ancora se dicesse non più che «son morto!», saria disditta tacita, over se con riverentia cercasse mercede o perdonanza saria disditta manifesta, quando bastasse al vincitore. Ma cercandola chiara & espressa, si debba far satisfatione del vincitore, perchè alcuna volta si fa per via di escusatione, qual non è disditta vera, nè legittima, ma è una compositione concordia o transatione; & questo si farà quando offesa, incarico o parola ingiuriosa che fosse ditta o fatta si ponessi per il giudice ad honestare, volendo poner pace & concordia, come ne daremo esempio: quando uno appellasse traditore un altro et, odendo le ditte parole, un altro da parte sospirando, perchè per lui fossino dette, et dicesse «tu non dici il vero, perchè non son traditore», se l’altro replicasse dicendo «io non l’ho ditto per voi, ma per colui a chi disse le parole», questa saria iscusatione & non disditta, attento che quando havessi prima affermato ch’era vero ch’esso era traditore et dicendo dopo l’opposto, saria disditta publica; o che uno officiale andasse per il torniamento con un bastone in mano o con la spada ordinando la gente & desse ad un cavalliro, che per questo volessi con lui combattere, & colui dicesse «io non lo feci per darvi a voi, ma casualmente senza mio proposto vi toccai» non saria disdire, ma iscusare il fatto, ancora se dicesse «io vi detti senza mia intenzione, over ch’io non vi conosceva, perchè non ho fatto bene» e dicesse «ingiustamente l’ho fatto & havendolo fatto nol feci a male oggetto», questo non saria disditta, ma iscusatione, quando prima non havesse fatto contesa all’incontro, perchè quello ch’una volta havesse fatta contesa et dopo si iscusasse, saria chiaramente disditta; et se uno havesse promesso ad un suo amico, sotto la fede sua, adoperare che non fosse offeso dal suo nimico, havendo quello constretto & havuta promissione per fede di non l’offendere, mancando della sua promessa, perchè l’offeso richiedendo il promissore della rotta fede di combattere con lui, dal quale fosse replicato dicendo che è vero, che promesse d’operare sì & talmente che non fosse offeso da colui, ch’ebbe la fede di non l’offendere, onde havendolo offeso dopo che da lui la fede ricevette, gli parea havere operato ciò che promise, considerando che non potea più fare se non haver la promessa fede da lui di non offenderlo, & se poi è contravenuto non si debbe a lui per fallimento imputare: questa si chiamerà la iscusatione & non disditta, dandosi per fallito; però la causa saria per l’offeso et per il promettitore da seguire contra il mancator della fede nel combattere. Sì che concludendo dico in quale si voglia modo quello c’ha fallito colpabile o perditore maldicente o malfattore si darà, si chiamerà disditta, havendo prima il contrario abbattuto, eccetto se per via di iscusatione, la quale esclude ogni malvagia cogitatione et proposito, et quello che fuggisse dal campo sarebbe più vile disditta di quella che per forza d’arme fosse fatta & per confesso vinto d’infamia et ricusato si debbe riputare; havendo uno Cavalliero notitia d’una donna, che falsamente in adulterio era accusata, deliberò con arme lei diffendere et conducendosi nella città dove era pigliata et in carcere ristretta, la quale di quella contra gli accusatori, quale erano duoi, menò con lui un altro valoroso Cavalliero, il quale promise esser con esso nel diffendere la donna; et data la fede nella battaglia et la giornata fra tutte due le parti, il cavalliero con il compagno comparsero con l’arme diputate & intrarono gli accusatori dentro la lizza; uno di quelli, non volendo seguire alla battaglia la rinontiò fuggendo: perchè il Cavalliero diffensore della donna volse solamente con il restante accusatore combattere, del quale fu vincitore, per la qual vittoria il fuggitore compagno del superato per traditore & disditto & mancatore di fede fu condannato. In un altro simil caso, duoi Cavallieri disfidati pure per donna & duoi altri alla giornata comparsero armati a cavallo, & essendo nel principio della battaglia, fuggendo il suo compagno, solo rimase contra li duoi, con li quali tanto valorosamente combattè che al primo corso l’uno per il petto d’una hasta di lanza lo trappassò, dopo vincendo l’altro venne ad havere di tutti duoi la vittoria, per il che il suo compagno fuggitore fu dato per traditore, per vinto & per infame; onde, ritornando al mio proposito, dico che la disditta è il maggior mancamento che possi havere uno Cavalliero, sì che è più honore la morte con qualche riputatione che non la disditta vilmente, la quale è infamia perpetua, perchè colui ch’è superato & morto dal nimico può dire esser morto diffendendo il suo honore, in quanto le bastò la vita. Ma lo disditto, lui medesimo s’ha occiso, lui & l’honore suo perpetualmente. Dicono gli animosi Cavallieri che più presto vorrebbono esser morti che disditti: questa è la virile ammonitione che si suole dare a coloro ch’entrano nella lizza per causa d’honore; la infamia di tal natura fa il vivo morire ogni dì & quelli che muoreno con gloria per vivi nel mondo dalli Cavallieri gloriosi & degni sono riputati.
  
 
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Revision as of 02:56, 27 September 2023

Paride del Pozzo
Also known as Paridis de Puteo
Born 1410
Pimonte
Died 1493
Napoli
Resting place Chiesa d'Sant Agostino
Occupation Jurist
Citizenship Neapolitan
Alma mater University of Naples
Patron Alfonso V of Aragon
Influenced Achilles Marozzo
Genres Legal treatise
Language
Notable work(s) De duello (1476)

Paride del Pozzo (called il Puteo; Latin: Paridis or Paris de Puteo) (1410-1493) was 15th century Italian jurist. He was born in Pimonte in the Duchy of Amalfi, from a family of Piedmontese origin.[1] He moved to Napoli early in life, where he began his study of the law; he went on to study at universities in Roma, Bologna, Firenze, and Perugia. Upon his return to Napoli, he entered the service of Alfonso V of Aragon ("the Magnanimous"), king of Napoli, and served in positions including General Auditor and General Inquisitor.

Later in his career, Pozzo wrote and published various legal treatises; perhaps owing to their position at the very beginning of the history of printing, they were reprinted many times over the subsequent century. In 1472-73, he published De syndicatu officialium, a treatise on forensic evidence. He followed this in 1476-77 with De duello, vel De re militari in singulari certamine ("On the Duel, or On Military Matters in Single Combat"). This treatise is particularly important due to its detailed descriptions of dueling laws and customs, which help establish the context of 15th century fighting systems, and also of incidents from specific historical duels, which shed light on how fighting looked in practice.

Pozzo died in 1493 and was buried in the Chiesa d'Sant Agostino in Napoli.

Treatise

Additional Resources

References

  1. According to Pietro Giannone, the family was originally from Alexandria, forced to continue moving due to political struggles.
  2. "Axe" omitted from all editions except the first.
  3. accie
  4. It: sententiousness